mercoledì 6 giugno 2012

Amoroso: la volpe a guardia del pollaio ci trascina in guerra

Come uscire dalla morsa di una crisi spietatamente pilotata?

Libre

Attenti, stiamo entrando in guerra: e sarà una nuova, terribile guerra fredda. Provate a pensarci: perché gli architetti dell’Eurozona vogliono indebolirci, massacrando l’Europa del Sud? Perché confina col Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente, cioè il forziere energetico del mondo. Oltre la frontiera nevralgica dell’Iran, avanza l’impero della Cina, che “ragiona” come gli altri paesi emergenti: non tollera più il monopolio privilegiato degli Stati Uniti. L’Europa meridionale? Pericolosa e “inaffidabile”, come l’Italia: meglio tenerci sotto controllo, con l’acqua alla gola, commissariati e stretti nella morsa della crisi e del debito artificiale, creato apposta dalla mafia della finanza criminale. Aprite gli occhi: è proprio per questo che hanno messo “la volpe a guardia del pollaio”. Draghi alla Bce, al servizio dello strapotere della Germania: funziona, per impedire all’Europa di smarcarsi e sviluppare una sua politica economica democratica, aperta al futuro.

Eminente economista italiano naturalizzato danese, Bruno Amoroso vanta un curriculum di enorme spessore: allievo del professor Federico Caffè, di guerra-Draghi-Obama1cui presiede il centro studi, ha insegnato a Copenaghen ed è professore emerito dell’università di Roskilde. Membro del comitato scientifico di “Alternativa”, il laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa, Amoroso dirige la rivista italo-canadese “Interculture”; è membro del consiglio di amministrazione del “Femise”, il Forum Euroméditerranéen des Instituts de Sciences Économiques, e coordina il comitato scientifico dell’italiana Fondazione per l’internazionalizzazione dell’impresa sociale. Fa parte, inoltre, del comitato scientifico del “Flare Network” (Freedom, Legality and Rights in Europe), la rete internazionale per la lotta alla criminalità e alla corruzione. Veterano di “Diesis”, organizzazione no-profit di Bruxelles dedicata allo sviluppo dell’economia sociale, che sostiene progetti di sviluppo per cooperative, imprese sociali e autogestite dai lavoratori, Amoroso è anche un decano della Facoltà di Mondiality all’Università del Bene comune (Bruxelles-Roskilde-Roma) fondata da Riccardo Petrella, e lavora nel comitato scientifico del progetto Wise dell’Unione Europea, dopo aver diretto il Progetto Mediterraneo promosso dal Cnel.

Interpellato da Giacomo Gabellini per un’intervista ripresa da “Megachip”, Amoroso fornisce chiavi preziose per capire la crisi epocale che sta schiantando l’Europa, a cominciare dall’Italia: le nostre aziende strategiche, come Eni e Finmeccanica, si trovano da mesi sotto il fuoco incrociato della grande finanza e degli organi di stampa di Wall Street, che reclamano a gran voce la cessione delle rispettive quote aziendali detenute dallo Stato. «Credo che questo sia parte di quel processo in corso di indebolimento dell’economia italiana per ridurne le capacità di competizione e, nel contempo, di far assumere il controllo di questi settori strategici (dal punto di vista militare e politico) a società statunitensi o europee affidabili». Per Amoroso, «siamo oggi alla vigilia di una nuova “guerra fredda”, nel conflitto con l’Oriente e la Cina». Per cui: «Il controllo degli strumenti sensibili per Adriano-Olivettil’industria militare e le materie prime va preso direttamente in gestione dai gruppi finanziario-militari internazionali».

Ecco spiegato un aspetto abbastanza oscuro della forsennata ossessione per le privatizzazioni: «Si sta ripetendo quello che accadde nell’immediato dopoguerra con l’Eni e l’Olivetti. Il carattere “sensibile” dei loro settori di attività (petrolio e informatica) per l’industria militare e i rapporti di potenza con altri paesi (Unione Sovietica) provocò come noto la morte di entrambi e il passaggio di quelle attività sotto il controllo degli Stati Uniti». Sull’impresa pubblica, alla fine degli anni ’70, Amoroso scrisse  “Lo Stato Imprenditore”, libro che indicava come le cause dell’indebolimento del settore statale dell’economia andassero ricercate all’estero: l’impresa pubblica strategica era incapace di sottrarsi a ipoteche e condizionamenti posti all’economia italiana dai monopoli internazionali e dai centri di potere politico. «Con la globalizzazione e il formarsi dei nuovi poteri finanziari e militari – aggiunge Amoroso – l’impresa pubblica fu liquidata, sia nella sua componente industriale sia in quella bancaria. Autori di quella operazione di Prodi-e-Ciampi“privatizzazione” furono i soliti noti: Draghi, Monti, Prodi, Ciampi, Amato».

Oggi il paese più a rischio è la Grecia, sull’orlo della catastrofe, e gli eurocrati di Bruxelles non sembrano avere le idee chiare: la linea cieca dell’austerità è l’unico imperativo categorico a guidare Unione Europea, Bce, Fmi e Germania. Perché? Per chi voglia capire cos’è davvero successo in Grecia, dice il professor Amoroso, è utile leggere il libro di John Perkins, “Confessioni di un sicario dell’economia”, che ben illustra il modo di funzionare della finanza internazionale: «False promesse e falsi bilanci forniti dalle agenzie internazionali raccomandate dalle istituzioni internazionali, previsioni di crescita economica che poi vengono frustrate dalle previsioni delle società di rating e dei “mercati finanziari”». Letteralmente: «Un circuito criminale a scopo di rapina dei risparmi di milioni di persone». E attenzione: «Un circuito del quale le grandi banche tedesche, francesi e italiane sono parte integrante, e che trova protezione da parte degli istituti nazionali e di sorveglianza sul credito: una “cupola finanziaria” che si alimenta con il John-Perkinsriciclaggio della finanza criminale, mafiosa».

A questo dramma, che ha colpito l’economia europea e in particolare quella del Sud, per Amoroso «si è reagito in modo vergognoso, da parte dei governi nazionali, esprimendo solidarietà verso la Germania e le grandi banche e facendo della Grecia la pecora nera dell’Unione Europea». La Grecia, al contrario, «dando un esempio di grande dignità, è l’unico paese europeo che, nonostante i ricatti a cui è esposta, ripropone un rilancio dell’Europa in chiave solidale e di cooperazione». Per far questo, giustamente, è stata richiesta la rinegoziazione dei Trattati europei: trattati che – continua Amoroso – anche dopo il crollo del Muro di Berlino, «hanno continuato a muoversi sulla linea della “guerra fredda”, cioè del sostegno prioritario all’economia tedesca». Economia divenuta la vetrina dell’Occidente verso l’Europa orientale, e quindi ricettacolo degli investimenti e degli aiuti statunitensi e europei, nonché «gendarme dell’ideologia neoliberista e delle nuove avventure militari dell’Occidente».

La Grecia, continua l’economista italo-danese, non cerca di “salvarsi” contrattando privilegi per sé a scapito di altri, come stanno facendo l’Italia e la Francia, «ridottesi al ruolo di stallieri del mulo tedesco». Al contrario, Atene «ripropone un patto sociale europeo che fornisce una base possibile per un fronte comune dei paesi e dei movimenti sociali dei paesi dell’Europa del Sud». Per Amoroso, «è vergognoso constatare il silenzio dei sindacati europei, sia della Ces sia delle grandi confederazioni nazionali, impegnati a ricavare illusori vantaggi dal “dividendo della guerra” oggi contro la Grecia, ma domani contro la Spagna, l’Italia e la Francia». Accuse precise: «Nel dibattito finale tra Sarkozy e Hollande, non una parola è stata spesa per condannare la finanza internazionale e le politiche tedesche verso la Grecia. Così come non una parola è stata spesa per condannare le avventure coloniali della Francia nel mondo arabo, che hanno seppellito il progetto dell’Unione per il Mediterraneo e l’idea stessa di una politica comune dei paesi dell’Europa mediterranea». Ecco il punto: «La Germania e i suoi stallieri stanno facendo verso la Grecia la stessa politica che la Germania ha fatto per decenni nei riguardi dell’Italia: impedire al paese di decollare come potenza industriale ed economica autonoma, lasciando che continui a Sarkozy-e-Hollandenuotare senza affogare, ma non consentendogli di alzare la testa e accelerare la propria corsa».

Come uscire dalla morsa di una crisi spietatamente pilotata? La prima proposta sul tappeto è di stampo keynesiano, basata sulla sovranità monetaria: tornare alle valute nazionali e ricostruire un sistema valutario europeo simile a quello antecedente all’euro, il “serpente monetario”, con l’aggiunta di meccanismi istituzionali solidaristici, come il Fondo di solidarietà. È il modello proposto da Keynes nel dopoguerra, ricorda Amoroso, con la creazione di istituzioni internazionali che dovevano aiutare i paesi poveri a decollare. Proposta di buon senso, ma che secondo il professore di Roskilde sottovaluta l’evoluzione dello scenario: «Gli Stati nazionali si sono trasformati in “Stati predatori”, così come sono scomparsi un pensiero liberale sociale e borghesie nazionali autonome, oggi omologati al “pensiero unico” neoliberista e al “potere unico” della globalizzazione». Vale per i paesi forti dell’Europa, quelli del nord-ovest, «che si avvantaggiano del dividendo di questa nuova spartizione del potere». L’altra cattiva notizia è che questa posizione è ormai «condivisa da sindacati e partiti socialdemocratici».

L’altra proposta, avanzata proprio dai settori leader dei paesi più forti, è quella di sdoppiare l’euro: una valuta forte (per Germania e dintorni) e una debole (per l’Europa del Sud), in modo da poter «disciplinare i comportamenti» delle aree deboli, con unico obiettivo: far sì che restino fragili, e che quindi non creino ostacoli e concorrenza competitiva alle aree forti. Per Amoroso è «un tentativo di relegare i paesi dell’Europa del Sud in una sorta di ghetto, così come fecero i paesi industrializzati nel secondo dopoguerra con l’invenzione del concetto di “sottosviluppo”, nel quale furono relegati in condizioni di dipendenza i quattro quinti dei paesi del mondo». La terza proposta, infine, è quella che Bruno Amoroso ha enunciato nel saggio “L’euro in bilico”, pubblicato nel 2011 da Castelvecchi: Europa da rifare, ridiscutendo da zero tutti i trattati-capestro che gli Stati Bruno-Amoroso1dell’Eurozona hanno affrettatamente firmato, senza validazioni democratiche, negli ultimi vent’anni.

Due poli distinti, il nord-ovest europeo e il Mediterraneo: una zona forte e una debole? No: due aree economiche diverse, con diverse priorità politiche, una diversa struttura produttiva e un differente orientamento internazionale dell’economia. Se finora è prevalsa la logica dello scontro, Amoroso punta sull’armonia della cooperazione economica e sociale, determinante per rimettere su giusti binari l’intero progetto europeo, che la Germania e i suoi ispiratori stanno mettendo a rischio. Solo che non bastano le idee, aggiunge Amoroso: serve la forza di contrattazione di interi paesi, in base ai loro interessi specifici. Forza contrattuale per ridisegnare l’Europa, non l’elemosina di piccole improbabili compensazioni. Obiettivo, riaprire i protocolli europei tenendo conto di due parametri: mercato unico e coesione socio-territoriale. Tutto si tiene: senza un vero accordo sociale e territoriale, salta anche il mercato comune. Questa la piattaforma per un nuovo patto di solidarietà europeo, che i nostri movimenti, partiti e sindacati devono decidersi a pretendere: di fronte a una richiesta pressante, la stessa Germania «avrebbe difficoltà ad opporsi, senza mettere a rischio James-Kenneth-Galbraithinteressi vitali per la propria economia».

In altre parole: trovare il coraggio per rifare l’Europa o arrendersi al cupo scenario di guerra che il super-potere sta preparando, giorno per giorno. Banche, finanza angloamericana, istituzioni transnazionali, Bilderberg, Trilaterale: «Queste organizzazioni – dice Amoroso – sono gli “autori” del modello finanziario-militare della globalizzazione». In pratica, «teleguidano i governi dei paesi occidentali, assumendone il controllo diretto quando necessario: come nel caso degli Stati Uniti, dell’Italia, della Grecia». La stessa definizione di “Stato predatore”, ricorda l’economista italo-danese, è stata elaborata sul governo degli Stati Uniti: un vero e proprio “comitato d’affari della borghesia globale”, secondo la definizione dell’economista statunitense James Kenneth Galbraith (“The Predator State”, 2008). «I soci di queste organizzazioni – continua Amoroso – sono alla guida dei principali governi e istituzioni internazionali, compreso il Financial Stability Board istituito nel 2009 per procedere rapidamente alla riforma e al controllo della finanza internazionale. Ovviamente nulla è stato fatto, e il presidente del Board si chiama Mario Draghi. Insomma, come ho scritto ne “L’euro bilico”, “le volpi a guardia del pollaio”».

Finora, il “grande manovratore” di Washington ha potuto vivere per decenni al di sopra dei propri mezzi, ma la Cina si fa avanti: ormai detiene buona parte del debito americano e – insieme a Russia, India, Brasile, Sudafrica e Argentina – chiede di rivedere il sistema economico mondiale, in base ai nuovi rapporti di forza. Pechino e gli altri paesi “Brics”, osserva Amoroso, hanno saputo accumulare la forza economica e militare necessaria per proporre una diversa organizzazione del sistema mondiale. Ma c’è un problema: il cambiamento alle porte non è dovuto a un’evoluzione culturale dell’Occidente, Usa in primis, tuttora «avvinghiati al concetto (di comodo) che il loro sistema di vita e istituzionale non è negoziabile». Da qui le nubi che si addensano all’orizzonte: la ripresa delle guerre in Medio Oriente e una nuova aggressività, che rischia di distruggere quel poco che resta di cooperazione internazionale, in seno alle Nazioni Unite. «L’esito di questa vicenda – aggiunge il professor Amoroso – dipende anche dal ruolo che svolgerà la Russia, in bilico tra la spartizione del dividendo di una nuova colonizzazione del mondo con gli Stati Uniti, e una ripresa di autonomia che potrebbe stimolare anche l’Europa a svolgere quel ruolo di promotore e Vladimir-Putinattivatore di un nuovo modello di organizzazione sociale e produttiva mondiale».

Nel frattempo, però, l’opzione bellica accelera. L’Arabia Saudita sta incrementando le proprie riserve strategiche di petrolio: un segnale che indica l’imminenza dell’attacco all’Iran? Sì, anche: l’attivismo saudita fa parte della destabilizzazione in corso nei paesi arabi. Obiettivo, rimuovere ostacoli nella corsa verso Oriente: primo muro da abbattere, il macigno rappresentato dall’Iran: «Tutta la campagna di destabilizzazione del mondo arabo, che gli Stati Uniti e i servi sciocchi europei hanno avviato», ha due obiettivi strategici, per niente democratici. Primo, «impedire che la rivolta sociale del mondo arabo si trasformi in un salto di autonomia e di rafforzamento di questi Stati», fino al punto da mettere a rischio le fonti energetiche dell’Occidente. Secondo, «creare una zona permanente di destabilizzazione che faccia spazio, oltre che al monopolio energetico, anche alle basi militari necessarie per le guerre a venire».

Mentre l’Europa continua a giocare di rimessa, prostrata dalla crisi finanziaria, i “signori della guerra” lavorano a tempo pieno, grazie ai “sicari” locali della destabilizzazione: il Kuwait e l’Arabia Saudita, dice Amoroso, sono attivi nel finanziamento e nelle forniture di armi al terrorismo nei paesi arabi. Sono sempre loro a passare armi ai miliziani: ieri in Libia, oggi in Siria e domani in Libano. Stessa tattica: «Infiltrano le richieste di benessere e democrazia, facendole deviare in guerre civili». Quanto al Qatar, il potentissimo paese di Al-Jazeera, la “Cnn araba” che ha di fatto spronato la Nato contro il regime di Gheddafi inventando di sana pianta le “stragi di civili” e le “fosse comuni”, in realtà «rifornisce milizie che operano nei vari paesi la strategia del terrore ben nota anche agli italiani». Strategia della tensione: bombe e massacri, per produrre panico e quindi consenso attorno il-drone-Global-Hawkal regime di turno, congelando qualsiasi vera evoluzione democratica, con tanti saluti alla celebratissima “primavera araba”.

E intanto che l’Arabia Saudita prepara per l’Occidente le riserve petrolifere in vista della possibile futura guerra contro l’Iran, grande “serbatoio petrolifero” della Cina, «tra il silenzio disinteressato di tutti» l’Italia firma un accordo con la Nato per la rimessa in funzione della base di Sigonella, attrezzata per il decollo dei droni, i micidiali bombardieri senza pilota, «da utilizzare negli omicidi mirati in Medio Oriente», come è avvenuto nel caso della “caccia” a Muhammar Gheddafi. Sigonella, Sicilia: «Una funzione che espone l’isola a ritorsioni militari terrificanti». Gli Stati Uniti, aggiunge Amoroso, «sono riusciti a trasformare quello che fino a ieri era un conflitto latente tra mondo arabo ed Europa, tra Islam e Occidente, in un conflitto tra sunniti e sciiti, dividendo così il mondo arabo e alleandosi senza scrupolo alcuno con le parti più aggressive di questo mondo». Nessuna illusione: «Le guerre a cui stiamo assistendo nel mondo arabo sono preparatorie del grande conflitto», di domani, «quello con l’Asia e la Cina in particolare». Nuova “guerra fredda”, Terza Guerra Mondiale. E l’Europa? Non pervenuta: è al guinzaglio, e si accoda. Pericolosamente.

Fonte: Libre 6 Giugno 2012

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono moderati e quindi non saranno visibili immediatamente