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venerdì 11 gennaio 2013

Vaccini: la verità viene a galla

di Matteo Gracis

Ho già trattato altre volte l’argomento vaccini, in un post riguardo la truffa colossale dell’influenza A e in un altro sul documentario Vaccin Nation: la storia dei vaccini killer. Non sono contrario ai vaccini, ma nemmeno a favore del loro utilizzo in maniera spensierata. Quindi mi informo, quindi rifletto, quindi critico.

Riporto di seguito un interessante articolo apparso alcuni giorni fa in rete, che merita di esser letto.

Vaccini pericolosi, rotto un muro di omertà. Ecco la testimonianza di un virologo di fama mondiale

Giulio_TarroIl professor Giulio Tarro, Presidente della Commissione sulle Biotecnologie della Virosfera UNESCO, invita a non schierarsi in una sorta di crociata a favore o contro i moderni vaccini ma rompe un muro fatto di omertà e paura, affermando senza dubbio che occorre approfondire laicamente la questione. Le connessioni tra vaccini, specialmente quelli somministrati ai militari e l’aumento dell’incidenza del cancro, è ormai dimostrabile scientificamente:

Sì, da alcuni anni si è aperto un nuovo capitolo della scienza, che ha osservato, in determinate condizioni, questa causalità. Prima si dava per scontato che i vaccini fossero una panacea. Poi si è iniziato a riscontrare che, come tutte le cose, hanno limiti e controindicazioni e che vanno utilizzati adeguatamente. Nel caso limite dei militari, sono state cercate tutte le possibili cause di tumori e malattie auto-iminuzzanti analizzando il loro stato di salute e le sollecitazioni cui sono stati sottoposti. L’abbassamento di immunità post vaccino si riscontra regolarmente ed è incontestabile.

Un’affermazione forte che sicuramente spacca in due la ricerca sugli effetti dei vaccini, indicando in maniera netta, per la prima volta, un’innegabile effetto negativo che non si limita alle solite controindicazioni derivanti da allergie ai componenti. Come spiega il professor Tarro:

mercoledì 31 ottobre 2012

Il bene comune

di Gianni Lannes
Su la testa!

cielo bianco

L’Italia, il nostro Paese, sembra privo di memoria, di slancio, di altruismo e di compassione. Per dirla con Carlo Levi: “Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo”. Sembra un Paese diverso da quello in cui sono nato, un Paese che amavo tanto e che voglio lasciare. Non so bene cosa avrei dovuto dirvi per questo commiato.

Mi hanno sempre detto: “metti amore in ciò che scrivi”. Io invece sono andato con rabbia in un’altra direzione. Giuseppe Fava mi ha insegnato una regola semplice e precisa: “Scrivi  ciò che vedi, senza farti condizionare dal contesto. Scrivi la verità che riesci a ricostruire senza reticenze”.

Cosa si può fare? I giornalisti hanno un grande potere, ma non lo usano quasi mai per il bene comune. Quelli che lo adoperano, in genere, vengono uccisi senza pietà: Mauro De Mauro, Peppino Impastato, Graziella De Palo, Italo Toni, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Giovanni Spampinato, Giancarlo Siani, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (solo per ricordarne alcuni ammazzati sul campo per rendere il nostro un Paese migliore).

Il poeta Pier Paolo Pasolini quando scrisse IO SO, non scherzava. Egli era uno scrittore unico, una persona “che cerca di seguire tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.

domenica 21 febbraio 2010

L'Aquila:Il silenzio che fa male

inviato da Anna M.P.

di Valeria Gentile - liberainformazione.org.
17 Febbraio 2010

San Valentino a L’Aquila per riconquistare il cuore della propria città

laquilaFoto di Valeria Gentile

La prima cosa che senti camminando a L’Aquila è ancora il silenzio. Ancora, dopo quasi un anno, il silenzio aquilano ti colpisce lo stomaco e ti brucia nelle vene perché non è un silenzio sano, quello delle valli e dei monti innevati, il silenzio della semplicità e della pace invernale, della cordialità dei paesini abruzzesi. È un silenzio che fa male perché non è giusto: c’è qualcosa di profondamente sbagliato, irregolare e forzato in questo silenzio senza quiete, fatto di mortificazione, perdita, voci ammutolite e ricordi attoniti, linee spezzate e cerchi interrotti. È un silenzio che provoca dolore agli occhi perché non proviene da nessuna parte, se non dalla miseria dell’umanità.

Tra queste strade deserte, dove l’alba e il tramonto si somigliano come lo spirito di un bambino e quello di un anziano, il tempo si è fermato e anche dove si scorge qualcosa che appare vita, in realtà sono solo ricordi: “Vedi? Lassù abitava Carlo” sussurra una vecchietta col bastone a suo marito, che le risponde “Sì, qua invece abitava Luciano”. Tutto intorno, finestre spalancate e piccioni che si sono autoproclamati re tanti mesi fa, e che nessuno è mai venuto a spodestare. Tutto intorno voragini sui tetti e sull’asfalto, gocce che cadono ritmicamente dalle fontanelle e semafori bloccati sul giallo lampeggiante. Tutto intorno silenzio. Un silenzio marcio.

A passeggiare a L’Aquila ti sembra di sfogliare i necrologi di un giornale che nessuno legge più. I pochi che ogni tanto possono permettersi il lusso di camminare nella loro città fanno la conta dei propri drammi, personali e collettivi. Eppure è ascoltando i mattoni e l’eco dei propri passi che si sente lo strazio più grande: ora che l’emergenza è finita e la maggior parte degli aquilani è andata via, è negli edifici e nelle strade che si conserva l’essenza di questa tragedia. L'Aquila non esiste più. Via Castello, via Zara, Piazza San Bernardino, viale Benedetto Croce, viale Gran Sasso. Sono tutti nomi di luoghi che oggi si possono raggiungere, ma che hanno perso la propria fisionomia. Gli edifici hanno croste sulle pareti, i marciapiedi mostrano fratture profonde e la storica solennità di questa città è andata via senza lasciare traccia.

Nemmeno i cani randagi si sentono a loro agio, spaesati in un centro disabitato e stravolto. Piazza Battaglione Alpini, con la sua Fontana Luminosa, è tornata un poco alla normalità, con l’edicola ed il bar da poco riaperti, ma i gruppetti di persone che si formano per chiacchierare e leggere il giornale hanno nei visi le stesse espressioni di spaesamento e spossatezza che vedevo dieci mesi fa nelle tendopoli. Infine via Strinella, che da passerella per Collemaggio è diventata una corsia triste, lastricata dai segni del terremoto, che sembra quasi essere stata spostata nel bel mezzo del nulla, un viale anonimo su un pianeta lontano.

Le prime cose che ti sorprendono dentro L’Aquila che non esiste più sono le ultime cose che noteresti in una città normale. Le cassette della posta vuote e arrugginite, qualcuna con lettere indirizzate a nessuno; gatti soli e piccioni sui divani, porte che non portano da nessuna parte, voci lontane che arrivano da case fantasma; tetti rattoppati con teloni neri di plastica grossa, e poi sbarre, divieti, neve che non rallegra, macerie mai raccolte, lavori di puntellamento, cartelli con indicazioni fuorvianti.

Nella zona aperta, cioè nelle periferie e nelle parti subito attorno al centro storico, è cambiato ben poco dal 6 aprile 2009. Quello che vedi è ancora una comunità disgregata che ha perso completamente il diritto di gestire la propria città: scortati da Esercito, Polizia e Protezione Civile come se fossero un popolo di criminali agli arresti domiciliari. Quello che vedi è ancora tanta distruzione e nessuna ricostruzione. Quello che vedi è una società completamente divisa, che ha dimenticato come si comunica gli uni con gli altri, come ci si mobilita, o anche semplicemente come ci si rintraccia quando gli indirizzi non hanno più valore. Quello che vedi sono persone anziane rassegnate a vivere così la vita che gli resta, perché anche se prima o poi L’Aquila rinascerà, loro non faranno in tempo a vederla.

Mentre ti fai largo in tutto questo con il peso di un anno sulla coscienza, mentre metti un passo dietro l’altro e ti muovi senza però andare avanti realmente, incontrare qualcuno della tua stessa specie, qualcuno che non sia un gatto o un piccione, è ancora come assistere a un piccolo miracolo. Ma un miracolo molto più grande è accaduto ieri, il 14 febbraio: proprio nel giorno degli innamorati, gli aquilani si sono riuniti al limite della zona rossa per riconquistare il cuore della propria città, con amore incondizionato e immenso.

C’erano ragazze e ragazzi, bambini, anziani, c’erano donne e uomini di ogni età. Da quando è uscita fuori l’intercettazione dei due imprenditori che il 6 aprile scherzavano sull’occasione da non perdere (“Mica capita tutti i giorni un terremoto così!”) e si sfregavano le mani per gli appalti sulle ricostruzioni, gli aquilani si sono infuriati. Massimo ha 50 anni ed è sulla sedia a rotelle da aprile. Ha creato il gruppo su Facebook Quelli che a L'Aquila alle 3:32 non ridevano: “Mentre l’Aquila moriva loro ridevano” ha detto. “Nell’apice della tragedia pensavano ai loro affari. All’inizio mi sono trattenuto, ma poi lo sdegno è scoppiato dentro di me perché è una cosa inaccettabile: chi cerca di trarre profitto dal nostro dolore è un vero sciacallo”. Bonifacio è di Pianola e vive da abusivo in una casa che è stata dichiarata inagibile: quella è casa sua e nelle New Town non ci vuole andare. Anna fa parte della Compagnia aquilana di canto popolare e questa città ce l’ha nell’anima: ha preparato il suo vestito da fantasma ed è scesa in piazza a gridare la sua rabbia. Giusi è una docente all’Università de L’Aquila e con il cartello 3 e 32: io non ridevo al collo ed un megafono ha coordinato la manifestazione. Almeno altri trecento hanno fatto lo stesso percorso e a mezzogiorno si sono riuniti lungo la via principale, fino ad incontrare il blocco dei militari che da dieci mesi chiudono l’accesso a Piazza Duomo.

“Ci può entrare Bruno Vespa per Porta a Porta e non ci possiamo entrare noi a vedere?” gridava Federico, uno studente aquilano. Il clima di protesta è rimasto pacifico e rispettoso delle forze dell’ordine, e ancora una volta penso a quanto sia alta la soglia di sopportazione di questo popolo meraviglioso. Una donna arrivata in borghese per impedire l’accesso ripeteva: “E’ un problema di incolumità, non posso, è il sindaco che autorizza l'apertura di queste aree”.

Una donna con i capelli corti e biondi, piuttosto minuta ma piena di energia, si è  avvicinata al viso del militare dietro i cancelli, con solo le maglie di ferro a dividerli. L’ha guardato dritto negli occhi e ha cominciato a gridare: “Voglio rivedere la mia città! La voglio rivedere!” Da qualche minuto un uomo con i capelli bianchi cercava di forzare la maglia di ferro e quando il rumore dei cancelli che si muovevano è diventato più forte, l’energia è salita alle stelle e tutti hanno cominciato a spingere, forzando il blocco dei militari al grido di “Basta! Aprite! L'Aquila è nostra!”

Anna non tratteneva l’energia e camminava a passo svelto, sola, piena di rabbia e di commozione allo stesso tempo. Tutti sapevano, ma vedere con i propri occhi lo spettacolo di Piazza Duomo ancora identica al 6 aprile ha fatto rimanere di stucco ognuno di loro.

Piazza Duomo a L’Aquila è una montagna di macerie.

“Il miracolo aquilano! Eccolo il miracolo aquilano!”, “Questa è la ricostruzione! Lo deve vedere tutta Italia!”, “Questa è la situazione dopo 10 mesi! Vergogna!” “Il set cinematografico per le loro campagne elettorali!”, “La Commissione Grandi Rischi che fine ha fatto?” le voci degli aquilani si sovrapponevano, gli sfoghi si accavallavano, la tensione e il dolore si alimentavano a vicenda ma la condivisione alleggeriva il peso e piano piano i visi si distendevano. “Meno male” ha detto Luca ad un amico, “ne avevo proprio bisogno, ero troppo depresso”. Bonifacio non si toglieva gli occhiali scuri e con un sorriso amaro mi ha detto “non so se si può usare questa espressione, ma oggi sono tristemente contento. L’ultima volta che ho visto questa piazza, la mia piazza, era il 5 aprile. Era il fulcro della nostra socialità. Oggi siamo venuti fino a qui insieme, e finalmente vediamo lo stato delle cose, mostrandolo a tutti gli italiani. L'Aquila non può prescindere dal suo centro, perché quella è la sua storia. Non quattro o cinque periferie nuove, fatte di casermoni, scollegate l'una dall'altra, costate 2700 euro a metro quadrato”.

Un ragazzo è salito sulla montagna di macerie e da lì, a gran voce, ha incalzato il suo popolo con queste parole: “Nessuno rideva qui! I cittadini, gli studenti, nessuno rideva! Rispetto per questa città e per la nostra dignità, per le vittime, per la gente che silenziosamente ha lavorato in questi mesi, per i vigili del fuoco ma anche per la Protezione Civile onesta! Noi ricostruiremo L’Aquila, ma saremo noi cittadini!”

“Io non ho mai preso una multa e oggi ho dovuto commettere un reato per vedere in che stato è la mia città” ha detto Federico. “Vorrei sapere dove stanno gli altri aquilani! Stanno dentro le case? Stanno sistemati negli alberghi? Gli basta questo?” Altri cori si sollevavano per dar loro manforte, molti applaudivano, qualcuno piangeva. “Ecco, questa è L’Aquila”, continuava a ripetere a tutti un uomo mostrando una pietra, un pezzo delle macerie della sua città.

Mille emozioni tanto forti quanto discordanti tra loro si agitavano in quella piazza, fatta di otto secoli di storia: la torre, la biblioteca comunale, il palazzo del Comune, il palazzo Margherita. E cumuli e cumuli di macerie ancora lì, su cui a poco a poco ogni aquilano è salito per tenerne simbolicamente in mano un pezzo. “Il dolore, la commozione, la rabbia... noi abbiamo tutto dentro, a volte ci sentiamo esplodere” dice una donna. “Perché perdere una città è una cosa che chi non l'ha vissuta non la può capire. Noi ci chiediamo dov'è la nostra comunità, dove sono gli aquilani, siamo sempre troppo pochi rispetto al sentimento che crediamo di rappresentare!”

Sempre troppo pochi. Dove sono gli aquilani che non sono andati a dichiarare il proprio amore alla città, nel giorno più romantico dell’anno? Sono in altre città, in affitto o nei casermoni costruiti in luoghi più che periferici come Bazzano e Preturo, dove è difficile persino chiedersi il perché di tutto questo. È difficile perché si è costretti a vivere fisicamente lontani dalla propria identità, il tessuto sociale si sfilaccia, si perdono i punti di riferimento. Dopo molti mesi in tenda, sono pochi coloro che non si sono allontanati, coloro che sono rimasti qui per monitorare la situazione, rientrando nelle case inagibili, senza gas, arrangiandosi in garage e simili.

Ancora più  che nei primi mesi, alla luce delle vergognose intercettazioni è  evidente che la priorità in tutta questa faccenda era economica. A ricostruire la città, nessuno avrebbe potuto guadagnarci quanto con gli appalti e i subappalti per le New Town e gli insediamenti del piano C.A.S.E., i Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili che da poco si è scoperto essere niente affatto ecocompatibili, bensì senza fogne: le acque scure vengono scaricate direttamente nel fiume Aterno. Scempi edilizi senza identità che questo governo vuole imporre come modello in deroga a tutte le leggi ed i piani regolatori.

Con una tale disgregazione sociale tutto quello che si organizza è molto precario e prendervi parte richiede un notevole sforzo economico e fisico. Un singolo cittadino conta meno di niente in questo sistema dove le stesse autorità cittadine sono scomparse. Ma la forza degli aquilani è grande e questo gesto di vero amore, che nonostante il freddo di febbraio ha scaldato il cuore della zona rossa de L’Aquila, sembra essere solo uno dei primi passi verso la riconquista.

“Dove sono i politici? Noi siamo ancora qui. Sono loro i poveracci”, ha detto una donna con il cappello e gli occhi lucidi. “Questo è il centro e questo deve restare. Non vogliamo allontanarci: qui c’è la nostra storia e la nostra anima!”

Vedi la gallery

Fonte:liberainformazione.org.

venerdì 20 novembre 2009

Clamoroso: Ingloriosa fine del global warming?

climate_hx Una notizia clamorosa che ho letto stamattina sul sito examiner.com e che mi ha spinto a fare altre ricerche. La notizia, pubblicata in data 19 novembre 2009, inizia in questo modo:

"Sembra che l''Hadley Climatic Research Centre dell'università East Anglia abbia subìto una violazione della sicurezza stamattina presto, quando un hacker sconosciuto, a quanto sembra, ha scaricato 1079 e-mail e 72 documenti di vario tipo e li ha pubblicati su un  server FTP anonimo.

Questi files sembrano contenere informazioni altamente sensibili che, se vero, potrebbero rivelarsi estremamente imbarazzanti per gli autori dei messaggi e-mail in questione. Gli autori sono alcuni dei nomi più celebri, tra i sostenitori della teoria del riscaldamento globale di origine antropica (AGW)."

Si tratterebbe di lettere che porterebbero alla luce tutta una rete di silenzi ed omissioni per favorire la diffusione della teoria del riscaldamento globale di origine antropica.

Il giornale online riporta anche dei nomi ma temo che pubblicandoli si possa violare il diritto alla privacy degli autori

Chi vuole leggere il resto della notizia la trova a questo indirizzo

Per chi vuole seguire la notizia, pubblico altri siti che trattano la questione:

I blog più animati:

Climate Audit
Watts Up With That?

Il primo blog a dare la notizia:

The Air Vent

Piccolo commento personale: In tutti questi anni mi sono arrivate notizie di scienziati derisi, isolati, minacciati di avere la carriera rovinata, privati dei fondi per la ricerca, ridotti al silenzio solo per aver detto la verità e cioè che, dal punto di vista scientifico, non c'è ancora niente di definitivo sulle cause del riscaldamento globale.
Non parliamo poi di quelli che hanno osato dire che l'aumento delle temperature è dovuto al fatto che siamo usciti da  un'era glaciale e oscillazioni di questo tipo sono normali. Non aggiungo altro sulla serie di cose assurde e sull'approssimazione di certi proclami da fine del mondo

Io spero che la notizia sia vera perchè, davvero, in questo frangente, la scienza è stata fatta a pezzi. L'ambiente va difeso dai veri pericoli che non devono essere nascosti dietro il velo della CO2 ma devono essere affrontati per quello che sono.

lunedì 2 novembre 2009

Da non dimenticare. Da fare.

 inviato da Anna M.P.
2009-10-26

paolo_barnardLe persone devono urgentemente imparare a tornare protagoniste sia dell'informazione che dell'azione civica, e non, anzi, mai seguaci o fans dei 'personaggi forti' che sanno, che possono, che contano. I 'personaggi forti' devono invece divenire 'piccoli' al servizio dei forti, che siete voi persone. Ecco i passaggi per arrivare a ciò:
Ogni volta che voi pubblico ascoltate o leggete il lavoro di chi vi informa, dovete imporvi di pensare che si tratta solo di fonti, non di oracoli, ma fonti da ascoltare a debita distanza, fra le tante altre fonti che ascolterete.
Dovete arrivare al punto dove non esista più la relazione col giornalista 'personaggio/divo/esperto', che va visto sempre come un vostro consulente fra i tanti. Per far comprendere a chi legge quale dovrebbe essere l’atteggiamento esteriore e interiore di una cittadinanza sana nei confronti di chi li informa, chiuque egli/ella sia, vi chiedo di immaginare come il Consiglio di Amministrazione di un gigante industriale – per es. la Microsoft Corporation – si relaziona con un loro consulente. Lo convoca, gli dice senza troppe storie “Prego si faccia avanti, ci dica”, lo ascolta e poi “Bene, grazie, si accomodi”. Punto. E il consulente saluta e si mette da parte piccolo e secondario, per lasciare ai manager l’importante compito esecutivo. Ora, un pubblico di cittadini sani deve sentirsi esattamente come il management, cioè al centro del potere e delle decisioni, e deve ridurre gli odierni 'giornalisti/divi/esperti' al ruolo del consulente.

Oggi purtroppo accade l’esatto contrario: il 'giornalista/divo/esperto' troneggia, sentenzia, lancia diktat, e il pubblico piccolo piccolo lo adora, lo ammira, e, peggio, si raggruppa in fans club e ‘parrocchie’ dal seguito quasi sempre acritico. Ed è tristemente emblematico che l’immaginario colloquio che ho sopra descritto sia nella realtà di oggi esattamente il modo in cui, al termine della serata-dibattito con l’esperto/divo, viene invece accolto il pubblico quando chiede timidamente la parola: i 'personaggi' gli dicono “Prego si faccia avanti, chieda”, e poi “Bene, grazie, si accomodi”, cioè torni piccolo piccolo, marginale. I 'personaggi' troneggiano, firmano autografi, sono al centro. Voi ai margini. Assurdo, deleterio.

In questo modo la gente è solo sospinta a rimanere secondaria, cioè si annulla e non crescerà mai. La gente deve ripensarsi Consiglio di Amministrazione, e mettersi sempre al centro. (da L'Informazione è Noi)

Nell'azione civica/politica, per contrastare (se ancora sarà possibile) il Potere, ecco i passaggi:

- Studiarlo a fondo, per capire chi veramente è (non è la Casta, non è la mafia, non è la Chiesa), che storia ha avuto, fin dove è arrivato, con quali armi si muove, cosa sta pianificando per il futuro.

- Formarci in un esercito di attivisti di ampiezza nazionale. Mettere quindi da parte le differenze che separano i nostri gruppi che formano i Movimenti, cioè rinunciare ai nostri individualismi per un fronte comune, unico, compatto, disciplinato, implacabile di attivisti al lavoro ovunque, sempre, con linee guida universali, sempre le stesse e con metodi in perenne evoluzione.

- Capire che cosa, in questo periodo della Storia, innesca il cambiamento, quale vettore, quale tipo di interazione umana. Individuare queste chiavi di svolta con precisione, così come si isola una molecola benefica.

- Studiare di conseguenza una comunicazione immensamente abile per attirare l’attenzione del mondo della GENTE COMUNE.

- Studiare i metodi per rendere la comunicazione gradevole ma penetrante.

- Diffonderci nei LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, implacabili, pazienti, tutto l’anno, per tentare di creare un consenso opposto a quello oggi dominante usando quei metodi attentamente studiati. Essere presenti in modo massiccio nelle scuole e università.

- Sopra ogni altra azione, ci deve essere il tentativo da parte degli attivisti di trovare l'ANTIDOTO alla paralisi della partecipazione dei cittadini alla polis. Se non sapremo sbloccare la cittadinanza paralizzata, inattiva, apatica di fronte a qualsiasi scandalo e persino orrore, abbiamo perso, perché quella paralisi è stata, è, e sarà l'arma finale del Potere.

- Essere molto ben finanziati, cioè cercare e ingaggiare sponsor ‘illuminati’ capaci di vedere il vantaggio di lungo termine di un mondo più giusto. Senza finanziamenti è inutile persino pensare al cambiamento.

- Sapere che è una strada in salita, poiché si tratta di invitare milioni di persone a scelte impopolari, a rinunce, a mutazioni di stili di vita, ma a saper vedere però la CONVENIENZA FINALE di un mondo più in equilibrio. Cioè dirgli: oggi il Sistema ti illude di guadagnare subito dieci ma non ti rendi conto che ti fa perdere mille; noi ti diciamo che ti conviene perdere oggi dieci ma guadagnare mille nel tuo futuro. Questa è la logica di ogni speranza.

Non c’è altra strada. Non c'è. (da High Octane Capitalism Ahead)

Fonte: PaoloBarnard.info