di Valerio Valentini
Ci apprestiamo a vivere le prime elezioni politiche in stato di sub-democrazia, con i “Mercati” che indicano senza parlare, secondo logiche vagamente mafiose, il candidato vincente, e gli “Alleati” che dettano l’agenda del futuro capo del governo. Nel frattempo, è interessante cercare di capire quali sono i progetti futuri di chi vuole più Europa. Il 30 novembre scorso, come chi segue il blog già sa, la Commissione Europea ha pubblicato un dossier nel quale si propone un “Progetto per una solida e concreta unione economica e monetaria”. Si profila a grandi linee, cioè, l’Europa che sarà, o che almeno dovrebbe essere secondo i piani dei cervelloni di Bruxelles. La settimana scorsa vi ho descritto quelli che sono le prospettive a breve termine (non oltre i 18 mesi); oggi invece passiamo ai progetti a media gittata (fino a 5 anni).
Di fatto, nel pianificare gli sviluppi dell’UE nell’arco dei 5 anni i relatori del dossier si sono lasciati andare alla franchezza: tutto quello che nella sezione precedente era soltanto accennato e andava letto tra le righe, ora diventa esplicito. Tanto per essere chiari: si dovrà attuare un “ulteriore coordinamento in materia di bilancio” che “dovrà includere la possibilità di pretendere la revisione di un bilancio nazionale per adeguarlo alle direttive europee”. Se il governo di un Paese, quindi, anziché ricorrere all’austerity e spremere i propri cittadini, decidesse sciaguratamente di finanziare il welfare, sforando nei limiti di budget imposti da Bruxelles, ecco che la Troika di turno arriverebbe a bacchettarlo, facendo carta straccia del bilancio votato da un Parlamento eletto dai cittadini e pretendendo aggiustamenti e correzioni.
Ma se credete che la Commissione si sia limitata ai controlli sul bilancio vi sbagliate. Il progetto prevede infatti “l’estensione di un più solido coordinamento sulle politiche fiscali e su quelle occupazionali”: le tasse e il lavoro, insomma, ricadrebbero sotto il controllo di Bruxelles. Si dirà che qui non può andarci male: se pensiamo al caso Fiat, dove un amministratore delegato con ambizioni dittatoriali ha fatto scempio di qualunque norma comunitaria sul rispetto dei diritti sindacali, e se pensiamo al fatto che l’Italia è uno dei pochi Paesi a non aver stretto accordi con la Svizzera per stanare i grandi evasori, allora un adeguamento agli standard europei non può che farci bene. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: nel dicembre scorso, quando la BCE mise in circolo 489 miliardi di euro, li destinò interamente a 523 banche ad un tasso misero dell’1%, senza pretendere alcuna garanzia sull’utilizzo di quei fondi. Che infatti non sono certo andati a risollevare l’economia reale. È un’Europa, insomma, notoriamente più preoccupata per le sorti dei banchieri che non per quelle degli operai. Inoltre torniamo al solito punto: perché dobbiamo limitare la nostra possibilità di cercare soluzioni alternative a quelle imposte a Bruxelles, che ci hanno trascinato nel baratro in cui siamo?
C’è poi il capitolo relativo al debito pubblico. Per tenerlo sotto controllo, gli Stati che violano i limiti imposti dall’UE dovranno ricorrere ad un “fondo di rimborsi”, che verrà appositamente creato. “Un possibile incentivo all’integrazione dei mercati finanziari dell’area euro e alla stabilizzazione dei titoli di Stato a rischio collasso è l’emissione, da parte di tutti gli Stati membri, di bond a scadenza annuale o biennale”. L’ipotesi è quella dei fatidici eurobond, che però non piace affatto ai Paesi con le economie più forti, come Germania, Finlandia e Olanda.
L’obiettivo finale che la Commissione si pone, di qui al 2017, è “la creazione di un’adeguata capacità fiscale dell’intera EMU (Unione Economica e Monetaria), al fine di supportare l’attuazione di provvedimenti politici emanati sulla base di un più profondo coordinamento”. Dunque si creerà una cassa comune le cui risorse verranno spese per finanziare le iniziative pianificate a Bruxelles. Ed è chiaro, quindi, che quelle iniziative saranno le uniche che potranno essere non solo attuate, ma anche semplicemente pensate dai singoli governi nazionali. Così il ritornello ormai consunto del “questa legge è l’Europa che ce la chiede, quindi dobbiamo farla” verrà affiancato al più inquietante “questa legge l’Europa non ce la chiede, quindi non s’ha da fare”.
E pazienza se parti sostanziali del nuovo progetto della Commissione sono in conflitto con la legislazione dell’UE. Basta scrivere in chiusura, come fanno i relatori del dossier, che “c’è bisogno di apportare correzioni ai trattati vigenti”. Che tanto poi li approvano anche se i cittadini li bocciano.
Fonte: Byoblu 11 Dicembre 2012
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