E’ allora che Gladwell esclama, schifato: “e se ti chiedono le prove, digli che non ce n’è bisogno. A volte le prove sono solo una parola per far soffrire la gente”. E ancora: “c’è questa strana catena di indifferenza che si osserva verso la sofferenza altrui …”, che impedisce di agire, anche di fronte alla più smaccata evidenza.
Dentro il modello economico della Commissione europea, incastrato tra due complicate equazioni, c’è un piccolo giullare, sorridente. Come quello che vedete nella fotografia.
Il suo status? Asservito all’elite di Bruxelles. Il suo compito? Ridare slancio ed allegria alle sempre più nere previsioni della Commissione, uscite, oggi, come ogni trimestre.
E dunque eccolo di nuovo qui, ad aiutare un re-padrone in difficoltà, obbligato a spiegarci come sia possibile che solo 3 mesi fa la sua previsione di crescita 2013 per l’area euro era +0,1% ed oggi è di -0,3%, facendo entrare formalmente l’economia dell’area per il secondo anno consecutivo in recessione, come l’Italia.
Il piccolo giullare deve giustificare, come per tutti i modelli economici, l’impossibile: ovvero che tutto ritornerà a splendere, se si seguiranno i consigli del re-padrone, non quest’anno, ma … l’anno prossimo.
Ma certo, perché no, il 2014. Visto che doveva essere il 2013, ma chissà perché non lo è stato, l’anno della ripresa, allora adesso annunciamo urbi et orbi che c’è poco da temere. Verrà, siate pazienti, verrà. Nel 2014.
E qui il giullare si infila nel modello econometrico per dare scientificità a tali asserzioni.
Quali le cause del disastro 2013? La domanda interna, inesistente, i cui effetti recessivi sono stati soltanto in parte compensati dalla positiva performance dell’export fuori dall’area euro.
Allora un buon economista si dovrebbe porre la domanda ovvia: ma chi ci dice che nel 2014 la domanda interna migliorerà e l’export fuori area euro terrà come ha tenuto quest’anno?
Semplice. La risposta ce l’ha pronta il giullare, al lavoro sugli ingranaggi dei modelli per fargli sputar fuori non la risposta economicamente giusta, ma quella politicamente corretta.
E così scopriamo che nel 2014 … gli investimenti e i consumi riprenderanno con vigore. Ohibò. E come mai?
Ma certo, basta leggere: perché “l’incertezza si diraderà, la fiducia ritornerà e l’aggiustamento comincerà a dare i suoi frutti”. Nulla di scientifico, solo ipotesi ad hoc. Fuffa. Imbarazzante fuffa. E’ ovvio che nell’attuale clima nessuno nel 2014 avrà maggiore fiducia. Ci vuole ben altro.
Questo ovviamente vale anche per l’Italia: che comincerà a “risalire (un verbo montiano, NdR!) grazie alla migliorata fiducia e alle condizioni del credito che permetteranno un rimbalzo degli investimenti”.
Addirittura per l’Italia – che ha visto gli investimenti calare nel 2012 del 2,9% e dell’1% nel 2013 – nel 2014 secondo la Commissione si vedrà una loro crescita del 2,8%!
E che dire della crescita mondiale che sostiene il nostro export? Il PIL non EU del mondo è previsto crescere del 4% nel 2012 e 2013, e addirittura del 4,5% nel 2014, ma l’export italiano, condannato ad un 2,3 e 2,6% di crescita nel 2012 e 2013, misteriosamente nel 2014 crescerà del … 5%.
Meglio guardare a quello che sappiamo. Per ora l’unica certezza è che il debito-PIL dell’area euro è al suo massimo, condannando la stupida austerità a rivelarsi per quello che è: la più stupida ed ottusa di tutte le politiche economiche, che genera instabilità nei conti pubblici, recessione e spread che non ci pensano proprio ad azzerarsi.
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Bisogna però stare attenti ai giullari, perché come ben sappiamo sono personaggi doppi: sono obbligati a dire quello che gli ordina il re-padrone, ma hanno l’incredibile licenza anche di dire la verità, nascosta tra le pieghe dei sussiegosi inchini.
Così potrete leggere nelle previsioni della Commissione che “il mercato del lavoro, tuttavia, rimane un serio problema. L’occupazione è prevista rattrappirsi ulteriormente per alcuni trimestri, e la disoccupazione rimanere a livelli così alti da essere inaccettabili, specie in quei paesi membri che fronteggiano gli aggiustamenti fiscali più ampi. Ciò ha gravi conseguenze sociali e, se la disoccupazione diverrà strutturale, avrà un impatto sulla crescita di lungo periodo.”
Grecia e Portogallo sono in condizioni di difficoltà che qualcuno non esita a definire di crisi umanitaria.
E tutti sanno qual’è la soluzione. Addirittura un rappresentante del Ministero delle Finanze austriaco esclama: “ci potrebbero essere buoni argomenti macroeconomici (per arrestare l’austerità, NdR), ma penso sia altamente dannoso per la nostra credibilità”. Quale credibilità?
Eppure si sa che anche quando la soluzione ovvia è a portata di mano, si rifugge da essa. Per ignavia, timore, interessi costituiti.
Ho appena terminato di ascoltare un bel discorso di Malcom Gladwell alla University of Pennsylvania, giornalista del New Yorker, su tutt’altro argomento. Sul perché, quando tutte le prove sono a disposizione per dimostrare che qualcosa è sbagliato e va modificato, anche di fronte a tanta sofferenza, ci si rifiuta di prendere atto dell’errore e si persevera. Lui ne parla pensando alle tante evidenze che esistevano nel XIX secolo per i minatori minorenni a riguardo dei danni delle polveri nei loro giovani polmoni, o per il XXI secolo per i giocatori di football americano il cui danno cerebrale è oggi noto a tutti. Eppure si continuò ad inviare i giovani nelle miniere e si continua a far sbattere l’uno contro l’altro gli elmetti di giovani atleti la cui aspettativa di vita si riduce dopo ogni incontro sportivo che disputano.
Chi si oppone a far cessare queste idiotiche e dannosissime pratiche chiede la dimostrazione certa del loro errore. La prova finale. Perché non gli basta tutta l’evidenza a disposizione per smuoverli. Così per la stupida austerità, di cui ormai sappiamo tutto. Tutto.
E’ allora che Gladwell esclama, schifato: “e se ti chiedono le prove, digli che non ce n’è bisogno. A volte le prove sono solo una parola per far soffrire la gente”. E ancora: “c’è questa strana catena di indifferenza che si osserva verso la sofferenza altrui …”, che impedisce di agire, anche di fronte alla più smaccata evidenza.
Ecco, è questa catena che dobbiamo spezzare. Se vogliamo ancora che l’Europa si tenga in piedi, ascoltiamo il giullare. Che parla di conseguenze sociali, sapendo bene che presto la Grecia ed il Portogallo prenderanno le tronchesi da soli e spezzeranno loro la catena. Ma non quella della nostra indifferenza, l’altra catena. Quella che li legava ad un progetto europeo di coesione e che si è rivelata, se non agiamo subito, un cappio soffocante di stupida ottusità.
Fonte: Gustavo Piga 22 Febbraio 2013
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