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mercoledì 7 marzo 2012

Usa e Israele, summit di guerra

di Michele Paris
Altrenotizie

Obama Israel UNL’atteso vertice di lunedì alla Casa Bianca tra il presidente Obama e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è stato monopolizzato dalla questione iraniana e dalla ricerca di una strategia di aggressione comune nei confronti di Teheran. L’incontro di tre ore, tra cui un faccia a faccia di mezz’ora tra i soli due leader, è giunto il giorno dopo l’apparizione di Obama alla convention annuale dell’AIPAC (America Israel Public Affairs Committee), la principale lobby filo-israeliana negli Stati Uniti, che è stata l’occasione non solo per anticipare i temi del summit con Netanyahu ma anche per ribadire il pressoché totale allineamento di Washington con Tel Aviv.

In un clima cordiale ma caratterizzato dalla consueta freddezza dei rapporti tra i due leader, il presidente americano ha sostanzialmente invitato il premier israeliano ad attendere che la diplomazia e le pesanti sanzioni applicate all’Iran negli ultimi mesi facciano il loro effetto prima di ricorrere all’opzione militare. Da parte sua, Netanyahu ha da un lato confermato la sfiducia nei confronti delle sanzioni e della diplomazia per risolvere la questione del nucleare iraniano e dall’altro ha espresso irritazione per le dichiarazioni fatte nelle ultime settimane dai vertici militari e dell’intelligence USA volte a mettere in guardia dai pericoli di un attacco preventivo contro la Repubblica Islamica.

domenica 6 febbraio 2011

Di chi è la rivoluzione?

Tutte le doppie facce, durante la rivoluzione in Egitto, in questo articolo dell'Online Journal, ripreso da PrisonPlanet

Di chi è la rivoluzione?
di Jerry Mazza
Online Journal

egypt-whose Secondo le informazioni raccolte dal Telegraph britannico, in un articolo di Venerdì scorso, Proteste in Egitto: sostegno segreto americano per i leaders ribelli dietro la rivolta, "Il governo americano ha segretamente sostenuto i protagonisti dietro la rivolta egiziana che hanno pianificato il "cambio di regime" negli ultimi tre anni. "

La fonte delle informazioni è una serie di rivelazioni  contenute in dispacci diplomatici segreti americani precedentemente pubblicati da Wikileaks secondo cui i funzionari americani avevano fatto pressione sul governo egiziano perchè liberasse altri dissidenti che la polizia aveva arrestato. Svelavano che l'Ambasciata americana al Cairo aveva aiutato un giovane dissidente a partecipare ad un vertice per attivisti a New York, sponsorizzato dagli Stati Uniti

Tornando al Cairo nel dicembre 2008, l'attivista ha detto ai diplomatici degli Stati Uniti che un'alleanza di gruppi di opposizione aveva elaborato un piano per rovesciare il presidente Hosni Mubarak e installare un governo democratico nel 2011. Leggete l'intero il documento segreto. Esso menziona che l'attivista era già stato arrestato dalla sicurezza egiziana in relazione alle manifestazioni e la sua identità è protetta dal Daily Telegraph.

La crisi egiziana segue la caduta del presidente tunisino Zine al-Abedine Ben Ali, che fuggì dal paese dopo le diffuse proteste perchè lasciasse la carica.

Anche precedenti informative diplomatiche degli Stati Uniti pubblicate da Wikileaks mostrano che i funzionari americani fecero pressione sul governo egiziano perche rilasciasse altri dissidenti che erano stati arrestati dalla polizia. 

Gli Stati Uniti chiesero anche  la liberazione di Mohammed ElBaradei, il premio Nobel ed ex direttore generale dell'AIEA favorevole alla riforma, che era stato posto agli arresti domiciliari dopo il suo ritorno in Egitto per unirsi ai dissidenti. Scontri si sono svolti al Cairo, Suez, Alessandria e altre città importanti in tutto l'Egitto, un paese di 80 milioni di persone. ElBaradei è visto da molti come la scelta degli Stati Uniti per guidare il Fronte Nazionale per il Cambiamento. La sua lontananza dall'Egitto e dai suoi scandali è positiva per alcuni, ma la sua scarsa presenza sul territorio è abbastanza negativa per gli altri.

Ma Ayman Nour del partito Kifaya ha dimostrato nelle elezioni del 2005 che il governo potrebbe essere messo in discussione  ed è uno dei favoriti. Ahmed Zewail, uno scienziato egiziano-americano, e vincitore del Premio Nobel per la Chimica 1999, è un altro potenziale candidato, come Segretario Generale della Lega Araba Amr Monnsa, secondo Monarchi del Nilo di World Today. È interessante notare che il figlio di Mubarak, Gamal ha detto addio a qualunque desiderio di essere coinvolto negli affari o nelle politiche di suo padre.

Eppure, Paul Joseph Watson su Prison Planet ha presentato ElBaradei  come un Fantoccio Globalista, che si prepara a dirottare la rivoluzione egiziana. Watson ha sottolineato che ElBaradei è un membro del consiglio dell'International Crisis Group, "un'oscura ONG (organizzazione non governativa) che gode di un budget annuale di oltre 15 milioni di dollari e viene finanziata da gente del calibro della Carnegie, Fondazione Ford, la Fondazione Bill & Melinda Gates, così come dall'Open Society Institute di George Soros . Lo stesso Soros è impegnato come  membro del Comitato Esecutivo dell'organizzazione." Egli ricorda inoltre che Zbigniew Brzezinski ha fatto propaganda per ElBaradei.

D'altra parte, ElBaradei ha esibito una certa dose di coraggio e di indipendenza, confrontando i Fratelli Musulmani con gli ebrei ortodossi, definendoli politicamente come potenziali  estremisti religiosi, dicendo che avrebbe negoziato una forma di governo di unità nazionale, evitando presumibilmente l'estremismo e stando con i manifestanti centristi e il loro desiderio di un nuovo e più indipendente punto di vista.

Ma il brutto segreto dietro a tutto viene niente meno che dall'articolo di USA Today Israele dice che i legami con l'Egitto devono essere preservati. Benjamin Netanyahu ha detto recentemente al suo governo, "Israele e l'Egitto sono stati in pace per più di tre decenni, e il nostro obiettivo è garantire che questi legami siano preservati". Ha aggiunto: "In questo momento, dobbiamo dar prova di responsabilità, moderazione e massima prudenza."   Perché?

La verità è che "Israele ha firmato uno storico accordo di pace con Anwar Sadat." Il segreto è che Mubarak, che ha preso il potere dopo che Sadat fu assassinato nel 1981, ha onorato l'accordo di pace, facendo dell'Egitto un importante fonte di stabilità, e vendendo nel frattempo i  regimi arabi suoi amici, in particolare i palestinesi. I rapporti si sono mantenuti freddi ma stabili, permettendo così ad Israele di diminuire in maniera significativa le sue forze armate. "Questo ha  portato con sé anche gli 1,5 miliardi dollari in aiuti militari dagli Stati Uniti all'Egitto, secondo solo a quello che riceve Israele, 3 miliardi di dollari in più per gli aiuti militari. Inoltre, circa 500 ufficiali di più alto rango in Egitto vengono addestrati negli Stati Uniti ogni anno.

Quindi, gli israeliani stanno guardando molto attentamente i disordini, temendo che un nuovo regime potrebbe abbandonare l'accordo di pace ed entrare di nuovo in conflitto con Israele. Prima dell'accordo di pace, i paesi hanno combattuto quattro guerre in trent'anni. .
Mentre i rapporti si sono mantenuti spesso sereni, Mubarak li rappresentava ancora nei confronti del mondo arabo, spesso mediando tra Israele e i palestinesi. Mubarak ha anche collaborato con Israele contro il gruppo militante di Hamas, che governa la Striscia di Gaza, l'instabile striscia costiera che delimita sia Israele che l'Egitto.

Funzionari israeliani, parlando in  anonimato, si sono dichiarati molto preoccupati per la traballante presa di Mubarak al potere. Alcuni temevano che la violenza potrebbe diffondersi alla Giordania confinante con Israele, l'unico altro paese Arabo con un accordo di pace con Israele, o nei territori palestinesi.

Un funzionario israeliano ha detto all'agenzia AP, "Un Egitto stabile con un trattato di pace con Israele, significa un confine tranquillo. . . Se ci sarà un cambio di regime, Israele dovrà rivedere la sua strategia per proteggere i suoi confini da una delle forze militari più moderne della regione."

Questi sentimenti si ritrovano anche nell'articolo dell'Atlanticwire Perchè Israele teme l'instabilità dell'Egitto: "Il presidente Obama ha già espresso il proprio sostegno ai manifestanti che si oppongono al regime autoritario di Hosni Mubarak in Egitto. Ma ora gli Stati Uniti sono chiamati da uno dei loro più stretti alleati, Israele, a sosteneli nelle critiche a Mubarak e a prendere in considerazione invece la promozione della stabilità. Il gran parlare di estromissione potenziale di Mubarak è accompagnato dall'idea che i Fratelli Musulmani assumeranno il governo.  La paura di Israele in questo momento è che con la perdita di Mubarak si perderà il trattato di pace di Israele con l'Egitto, in vigore dal 1979. Barak Ravid Haaretz riferisce che il governo israeliano è preoccupato per la sicurezza del paese senza l'Egitto come alleato. Altri che hanno seguito il dibattito, però, non sono convinti che Israele abbia qualcosa di cui preoccuparsi."

HaAretz ha chiesto Chi proteggerà Israele sul fronte egiziano? La pace con l'Egitto è stato un vantaggio strategico decisivo per Israele, che deve astenersi da qualsiasi azione che potrebbe metterlo a repentaglio. Eppure la relativa compiacenza - relativa alla preoccupazione per altre minacce, vicine e lontane - ha un prezzo. I generali esperti, che hanno combattuto nel Sinai nella guerra dello Yom Kippur come giovani ufficiali al comando di divisioni corazzate, vengono scaricati non solo dall'esercito permanente, ma anche dal servizio di riserva attiva. Varie unità che si sono specializzate nella progettazione e nella conoscenza del territorio e del nemico sono state sciolte. Gli unici  veterani del Sinai restanti ai vertici dell'establishment della difesa sono Ehud Barak, il quale, durante la guerra del 1973, comandava un battaglione corazzato e poi fu comandante di brigata e di battaglione, e Ashkenazi, che ha combattuto nel Sinai come cadetto militare.

Eppure, l'attuale governo egiziano è stato sollecitato dal segretario degli Esteri britannico William Hague ad ascoltare le legittime richieste dei manifestanti. Il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha detto di essere "profondamente preoccupata per l'uso della forza." Leggi l'intero articolo del Telegraph per tutti i dettagli, quello principale è la spinta degli Stati Uniti perchè Mubarak dica addio e rapidamente.

A partire da Martedì, Obama ha chiesto a Mubarak di dimettersi e i due sembravano d'accordo sul giorno delle elezioni, 11 settembre, otto mesi da oggi. Negli stessi giorni successivi, centinaia di migliaia di manifestanti sparsi al Cairo dicevano "no" con una sola voce. Si dice che Obama stia spingendo Mubarak a dimettersi al più presto, secondo il NY Times, edizione del 2/2/11.

Un precedente articolo esterno del New York Times del senatore John Kerry, ha insistito sull'allontanamento di Mubarak al più presto. Il popolo egiziano ha applaudito l'idea "via subito" arrivata dopo aver sofferto sotto il regime autocratico di Mubarak per 29 anni, Sadat prima di lui, e Abdul Nassar prima ancora, per un totale di 60 anni di  governo autocratico appoggiato dai militari.

Tuttavia, l'altra brutta faccenda è che ElBaradei  ha avvertito di un imminente bagno di sangue il Martedì, cioè, che la polizia in borghese e i teppisti assunti da Mubarak stavano per attaccanre i manifestanti al Cairo. Il conteggio del Giovedi mattina calcola 97 morti e migliaia di feriti. ElBaradei ha denunciato le "tattiche intimidatorie".

Mercoledì notte, ho visto un live report sulla MSNBC mentre gli aggressori degli attivisti si ritiravano, lanciando bottiglie molotov mentre andavano via. Alcuni spari echeggiavano in lontananza e gli incendi tremolavano sullo sfondo. Un carro armato copriva gli attivisti con una cortina di fumo per la protezione. Non era una bella scena.

Quanto al motivo per cui 30 anni di governo autocratico sono esplosi oggi, un articolo di World Today di Maha Azzam, Monarchs of the Nile, ha commentato che il 40 per cento degli egiziani vive al di sotto della soglia di povertà, la disoccupazione è al 10 per cento, l'inflazione in corso a un livello simile, la sorte della piccola borghesia e dei poveri è costantemente diminuita. La maggior parte della ricchezza generata è concentrata in una nuova ricca mega elite collegata al regime. Questa divisione economica nuova e molto evidente ha creato spaccature sociali profonde." Non dissimile dagli Stati Uniti.

Curiosamente, mentre questa pentola della rivoluzione bolle e tumulta, il sito middleeastermonitor.org riporta Una ONG per i diritti sostiene che gli aerei israeliani che trasportano armi per disperdere la folla sono arrivati in Egitto. Se questo è vero, si spera che gli israeliani non decideranno di intervenire ad un certo punto spinti da una gomitata degli Stati Uniti per "stabilizzare le cose".

Questo potrebbe essere disastroso, considerando che l'esercito egiziano finora ha più o meno sostenuto gli attivisti politici e ha tacitamente appoggiato la loro rivoluzione, e non Mubarak. Nessuno vorrebbe vedere questo  incredibile sfogo rivoluzionario, in grado di purificare il Medio Oriente di almeno uno dei principali  autocrati, rimpiazzato da altri. L'effetto desiderato è un gesto di libertà produttiva per i mediorientali e le loro famiglie. Ma l'ombra dei Fratelli musulmani e delle altre forze fondamentaliste resta nella regione, anche se hanno agito finora per la calma, le loro motivazioni, metodi e ideologie, devono ancora essere pienamente conosciute.

Così, la rivoluzione iniziata in Tunisia può diffondersi a una serie di paesi del Medio Oriente per cambiare le dinamiche di chi governa e come la vita si vive meglio da diseredati. E' probabile che per alcuni questa ondata di rivoluzione sia fonte di gioia  e per gli altri di paura per il cambiamento nelle dinamiche delle forze dominanti - proprio come l'idea di "cambiamento" si è evoluta negli Stati Uniti da un cambiamento per aiutare la classe operaia e i media al finanziamento dei fallimenti finanziari e dell'establishment della difesa.

Come scrive Paolo Schramm sul Wall Street Journal, "le proteste di piazza in Tunisia e altrove nella regione non sono solo di grande importanza per il mondo arabo, ma hanno il potenziale di prefigurare un futuro economico più luminoso per il mondo. Il messaggio di base dei manifestanti non è quello di soffocare le aspirazioni economiche della generazione più giovane, soprattutto come quella ben istruita della Tunisia. Incatenateli a vostro rischio e pericolo."

In un articolo di Rense, Gerald Celente va ancora più lontano dicendo, Il Fervore Rivoluzionario è destinato a propagarsi al di là degli Stati arabi, la prossima sarà l'Europa. Celente scrive: "Come vedremo in Egitto, colpi di stato militari si travestiranno come cambiamenti di regime. Già il pubblico è stato condizionato a vedere l'esercito egiziano come amati liberatori. Ma in realtà essi sono semplicemente un altro braccio del governo autocratico, con una familiarità con gli ideali democratici non superiore a quella del dittatore che sostituiscono. . . egli stesso formatosi nei ranghi delle forze armate.

"I leaders e i media del mondo non stanno riconoscendo la rivolta egiziana per quello che è: un preludio a una serie di guerre civili che porteranno a guerre regionali che porteranno alla prima" Grande Guerra "del 21° secolo. . ".

Anche se interessante, trovo questa teoria troppo cinica. Ritengo che in un mondo lacerato dagli eccessi della ricchezza, del potere, dei militari, in breve la mentalità Bilderberg, si spera  vi sia una svolta storica per la rivoluzione e la libertà delle masse da queste forze, in questo momento storico.

Speriamo che  il seguito sia l'uscita dall'attuale Regno del Terrore, come nel 18° secolo in Francia, per elimnare una monarchia decadente in favore di una democrazia parlamentare. Come pure, le colonie britanniche del tempo divennero gli Stati Uniti attraverso la loro Guerra Rivoluzionaria. Produssero una Carta dei Diritti e la Costituzione che già da allora era minacciata dalla schiavitù,e sopravvisse, solo per affrontare la Guerra al Terrore dell'11/09/2001. Ancora una volta, una minaccia alla nostra democrazia negli Stati Uniti dall'interno come all'Egitto e al mondo esterno, con le corporzioni globali  e le aspirazioni egemoniche degli Stati Uniti. Quali carte il destino riservi a noi e al popolo egiziano in seguito, nessuno lo sa.

Democracy Now! Mercoledì ha riportato la barbara risposta dei sostenitori di Mubarak quel giorno: Live dall'Egitto: il vero volto del regime di Mubarak, di Abdel Sharif Kouddous. Secondo Kouddous, "Il regime di Mubarak oggi ha lanciato una campagna di violenza brutale e coordinata per allontanare dalle strade del Cairo il movimento di massa per la democrazia in Egitto".

Troppo per un cambiamento pacifico di governo!

Fonte: PrisonPlanet 5 Febbraio 2011
Traduzione: Dakota Jones

lunedì 22 febbraio 2010

Fuochi d'estate sul Medio Oriente

di Simone Santini-clarissa.it
Pubblicato il 19 Febbraio 2010

Iran_ahmadinejad "Israele si prepara a cominciare una guerra per la primavera o l'estate, ma la decisione non è ancora presa". Non sono i soliti rumors o le conclusioni di un analista ma le shoccanti dichiarazioni del nemico numero uno nella regione dello stato ebraico, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.

Il leader iraniano non ha precisato contro chi Tel Aviv possa scatenare il conflitto. È certo, e gli stessi israeliani non ne fanno mistero, che le Forze armate con la stella di David e i vertici politici sono pronti ad un nuovo attacco, soprattutto, contro Hezbollah in Libano, una ferita rimasta aperta con la guerra nell'estate del 2008. Fu una sorta di sconfitta militare e politica per Israele, che tuttavia ottenne un vantaggio strategico col dislocamento sul confine di forze d'interposizione europee (in particolare italiane, spagnole, francesi) col rischio permanente che queste vengano trascinate in un conflitto aperto con le milizie sciite libanesi, nel caso scoppi ancora la guerra.

Altro scenario di crisi sono ovviamente i Territori occupati, in particolare Gaza. E non è da escludere che Israele pensi di accendere una minaccia in tutta le regione per arrivare, con una progressiva escalation, fino a Teheran. Ma, allo stesso tempo, anche un attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani è ormai ammesso come opzione reale da tutti gli osservatori.

Ahmadinejad, nel perfetto stile della retorica politica ad uso interno, mostra di non temere l'eventualità. "I Paesi della regione sono pronti a risolvere la questione una volta per tutte (con Israele)" sostiene, e anche nel caso di nuove sanzioni da parte occidentale "se qualcuno cercherà di creare problemi all'Iran la nostra risposta non sarà come quelle del passato. Questa risposta comporterà qualcosa per cui si pentiranno", adombrando così la possibilità del blocco del Golfo persico attraverso cui transita gran parte del petrolio mediorentale.
Il presidente continua la politica dialettica del doppio binario, mostrarsi forte per poter trattare. Infatti "la questione dello scambio di combustibile nucleare non è chiusa, l'Iran è sempre pronto ad uno scambio in una cornice di equità", ovvero che avvenga secondo modalità che garantiscano pienamente Teheran, ma che gli Stati Uniti hanno già rifiutato seccamente.

Cecità politica quella di Ahmadinejad? Probabilmente il presidente non si rivolge più agli occidentali, con cui il dialogo sembra ormai definitivamente compromesso, ma a Russia e Cina, gli unici paesi ormai in grado di sventare una nuova guerra in Medio Oriente. E proprio da Mosca, infatti, giungono in questi giorni i segnali più interessanti, e inquietanti.

Per il capo di stato maggiore russo, Nikolai Makarov, un attacco all'Iran avrebbe "conseguenze terrificanti non solo per l'Iran ma anche per noi, così come per tutto l'insieme della comunità asiatico-pacifica". E tuttavia il generale non ha escluso che gli Stati Uniti, una volta ottenuti i risultati sperati in Iraq e Afghanistan, possano concentrarsi sull'Iran, paese con cui la Russia stringe "tradizionali rapporti d'alleanza" nei settori più disparati.

E l'ex capo di stato maggiore (ricopriva tale carica all'epoca dell'11 settembre), il generale Leonid Ivashov, attualmente analista politico-militare e presidente dell'Accademia di problemi geopolitici, si spinge addirittura oltre. "Un attacco contro l'Iran è all'ordine del giorno. Con ogni probabilità verrà sferrato da Stati Uniti e Israele. L'Iran si trova in uno stato di totale vulnerabilità verso un'aggressione e sta intraprendendo ogni tentativo, politico, economico, militare, al fine di poter sopravvivere e proteggere la propria sovranità. Molte cose dipenderanno dalla posizione di Russia e Cina" ha detto il generale all'agenzia Ria Novosti.

E da Mosca i segnali non sono rassicuranti. Se ormai appare probabile che Medvedev appoggerà la politica di nuove sanzioni contro l'Iran presso il Consiglio di Sicurezza, il Cremlino ha annunciato il blocco della fornitura a Teheran del sistema difensivo missilistico S-300 il cui contratto era già stato stipulato da tempo. Il congelamento, secondo le autorità russe, avviene "per motivi tecnici ed a tempo indeterminato, finché non verranno risolti". Una falla non trascurabile nel sistema difensivo aereo iraniano.

Per far luce sui reali termini della questione può essere utile riferirsi alle dichiarazioni del primo ministro di Israele, Bibi Netanyahu, che negli stessi giorni dell'annuncio si trovava in visita diplomatica ufficiale a Mosca. In una lunga intervista al quotidiano Kommersant ed all'agenzia Interfax, Netanyahu ha illustrato dapprima il nuovo clima internazionale sull'Iran: "Quando dicevo che la più grande minaccia che l'umanità deve affrontare è il tentativo dell'Iran di dotarsi di armi nucleari, ricevevo scetticismo e molte sopracciglia sollevate, anche da Washington e Mosca. Ora non è più così. Esiste ormai una valutazione comune che l'Iran è sempre più vicino al suo obiettivo e che questo debba essergli impedito. Vi è la consapevolezza di essere in ritardo. [...] Il tempo delle sanzioni è ora. E queste sanzioni dovranno essere paralizzanti. [...] Nella comunità internazionale non è più in discussione ormai se l'Iran è un problema, se accumuli materiale nucleare da usare per lo sviluppo militare. Tutto ciò non è più in discussione. Ciò che è in discussione è solo quale tipo di sanzioni verrà applicato".

E a precise domande degli intervistatori sul collegamento tra lo stop della fornitura missilistica russa all'Iran e la minaccia israeliana di possibile sostegno al riarmo della Georgia, Netanyahu ha risposto con estrema abilità diplomatica: "Come fornitori di armi abbiamo cura di tenere conto di tutte le considerazioni in questo genere di rapporti, operando per la stabilità in regioni instabili, e ci aspettiamo che la Russia faccia la stessa cosa. [...] Ho accolto con soddisfazione le dichiarazioni di Medvedev (sul blocco delle forniture all'Iran) perché so che l'attuale politica russa è volta a promuovere la stabilità. Questa è buona politica. Non voglio dire di più e non confermo che abbiamo avuto colloqui su questo argomento. Il resto sono speculazioni della stampa".

E negli stessi giorni il segretario di Stato americano Hillary Clinton si trovava in missione diplomatica in un altro centro focale della crisi con l'Iran, la Penisola arabica. A Doha, nel Qatar, in un discorso davanti gli studenti del campus Carnegie Mellon, la Clinton ha lanciato l'allarme contro la deriva militarista di Teheran: "La vediamo in questo modo: crediamo che il governo iraniano, dal presidente al parlamento, sia stato soppiantato e che l'Iran stia andando verso una dittatura militare. E' il nostro punto di vista [...] Non attaccheremo l'Iran, stiamo invece cercando di unire la comunità mondiale per fare pressione all'Iran attraverso sanzioni delle Nazioni Unite. Queste pressioni saranno specificatamente rivolte alle imprese controllate dalla Guardia Rivoluzionaria [...ma...] è molto difficile restare passivi di fronte a un Iran armato e che continua a portare avanti il suo programma di armi nucleari".

Evocare un colpo di stato militare a Teheran (quasi una sorta di auspicio) può essere una delle tattiche utilizzate per indicare come ormai fuori controllo il regime iraniano, guidato da fanatici pronti ad usare le armi atomiche, e dunque giustificare qualunque intervento. Questo ha provocato la tagliente risposta del ministro degli Esteri iraniano Mottaki, a cui pare oggettivamente arduo controbattere: "Gli americani stessi sono imprigionati in una sorta di dittatura militare che impedisce loro di comprendere le realtà della regione. Cos'è dittatura militare: uccidere un milione di iracheni, per la gran parte innocenti, o stabilire scambi col popolo iracheno, accogliendo decine di migliaia di immigrati e aiutando il governo a mettere in sicurezza il paese, garantendone la sovranità, come stiamo facendo noi? Cos'è maggiore indizio di dittatura militare: attaccare sanguinosamente i matrimoni in Afghanistan o dare rifugio a tre milioni di afgani?".

La successiva tappa del viaggio della Clinton è stata Riyad per incontrare il re Abdallah. Scopo della missione, oltre rassicurare una Arabia Saudita che si troverebbe in prima linea in caso di attacco all'Iran, è la questione delle sanzioni e delle forniture energetiche destinate alla Cina. I sauditi forniscono già il 20% del petrolio di cui Pechino necessita, essendo il primo fornitore, seguiti proprio dagli iraniani con una quota del 15%. Gli americani vorrebbero che i sauditi fossero pronti a supplire col loro petrolio all'eventuale stop delle esportazioni iraniane in caso di sanzioni o peggio ancora di conflitto. Questo potrebbe rassicurare la Cina e spingerla a sostenere l'azione americana al Consiglio di Sicurezza, e tuttavia esporrebbe il paese del dragone al rischio di veder considerevolmente aumentare la quota del suo fabbisogno energetico sotto il controllo, diretto o indiretto, degli Stati Uniti, ovvero il proprio potenziale (o effettivo) antagonista nel contesto globale.

L'atteggiamento della Cina rimane una incognita, in una posizione estremamente delicata che corre sul filo della questione delle sanzioni. Nella precedente intervista già citata, Netanyahu ha mostrato estrema lucidità sul punto. Pur ribadendo, infatti, che le sanzioni devono essere applicate subito e in maniera aggressiva, il politico israeliano non si aspetta affatto che queste possano risolvere definitivamente il problema. Al contrario pare potersi interpretare che dal suo punto di vista (quello di un falco del "partito del bombardamento") come le sanzioni siano un semplice passaggio tattico destinato a risultare sostanzialmente inefficace ed a cui porre successivamente rimedio con una ulteriore escalation. Se, infatti, le sanzioni dovessero fallire, in questo gioco di continui rilanci, cosa arriverà dopo?

Fonte: clarissa.it

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