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venerdì 7 dicembre 2012

Goldman Sachs, la mafia vincente

MoviSol

goldman sachs rule5 dicembre 2012 (MoviSol) - La mafia vincente del racket chiamato sistema finanziario internazionale è da decenni Goldman Sachs. Due recenti e sensazionali sviluppi lo confermano: la nomina di Mark Carney a capo della Bank of England e la sentenza della Corte di Giustizia Europea sul caso degli "swaps greci". Entrambi vedono lo stesso vincitore: Goldman Sachs.

È la prima volta nei 318 anni di storia della Bank of England che un non-soggetto britannico si siede sulla poltrona di Threadneedlestreet. Carney è governatore della banca centrale canadese e capo dell'International Financial Stability Board, quello che Giulio Tremonti ha chiamato "il cavallo di Troia della speculazione finanziaria".

Ma soprattutto Carney ha lavorato per tredici anni, dal 1990 al 2003, a Goldman Sachs dove, tra l'altro, ha rivestito l'incarico di capo della divisione "rischio paese". Egli fu coinvolto nella crisi finanziaria russa del 1998, che fu esacerbata proprio perché Goldman Sachs consigliava la Russia mentre allo stesso tempo scommetteva contro la capacità del paese di pagare i debiti.

La nomina di Carney sposta i rapporti di forza nelle istituzioni britanniche, in un momento in cui si decide pro o contro la separazione bancaria e la Bank of England sotto Mervyn King è stata fortemente a favore di una netta separazione alla Glass-Steagall. King si è opposto alla soluzione preferita dalla City di Londra, il cosiddetto Ringfencing raccomandato dalla Commissione Vickers e caldeggiato dal Premier Cameron e dal Cancelliere dello Scacchiere Osborne. Carney è stato scelto da Osborne dopo che il candidato naturale alla successione di King dall'interno della banca, Mark Tucker, è stato indebolito da una campagna stampa che ha addossato la responsabilità passiva dello scandalo Libor alla Bank of England e a Tucker personalmente.

venerdì 18 maggio 2012

La mafia della porta accanto

By ilsimplicissimus

struzzo_in_doppiopettoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Tempo fa nel libro di un magistrato sull’intreccio tra corruzione, reati economici e criminalità, mi è capitato di leggere una dichiarazione folgorante dei carabinieri di Monza: “il mondo ormai è la Calabria e quello che diventerà Calabria”.

Un corollario questo a una temibile profezia che pare si stia avverando contenuta in un rapporto che i servizi americani trasmisero a Clinton nel 2000 e che diceva più o meno che nel 2010 alcune nazioni sarebbero passate sotto il controllo di governi privati, veri e propri anti-stati che avrebbero sottratto la sovranità a popoli e paesi.


Il rapporto contava 50 aree del pianeta ormai passate sotto il dominio di potenze criminali e faceva intendere che il processo stava subendo una accelerazione. Allora era facile pensare al Sudamerica, ai balcani e al Mezzogiorno d’Italia. Allora era facile ma poco preveggente pensare che il fenomeno in Italia fosse localizzabile e circoscritto al Sud. Allora era facile pensare che queste potenze oscure avessero le fattezze di una gerarchia di padrini e di una manovalanza di picciotti, che fossero sanguinarie e cruente, ignoranti e primitive. Allora era facile persuadersi che forse la globalizzazione e la modernità le avrebbero spazzate via.

mercoledì 28 marzo 2012

Il Paese di Sottosopra

articolo di Valerio Valentini per Byoblu.com

IlPaeseSottosopra-400x231 A furia di sentirsi dire che l’Italia è il Paese delle mafie e della corruzione, gli italiani si sono ormai convinti che la loro sia una devianza genetica, una specie di brand: siamo mafiosi e corrotti inside, e non c’è niente da fare. Eppure così rischiamo di venire tutti, indistintamente, accumunati a una masnada di infami criminali e di vili affaristi. Senza contare poi il rischio rassegnazione, ovvero quell’assuefazione nei confronti dello status quo che si traduce nella rinuncia al contrasto contro ogni forma di illegalità, che è la vera zavorra al nostro sviluppo.

Prendete il dibattito sulla riforma del lavoro. Fornero Rogers e Monti Astaire continuano a fare il tip-tap sul letimotiv della flessibilità in uscita. Che non è un esercizio di ginnastica posturale ma, tradotto in soldoni, significa la possibilità per il datore di lavoro di licenziare in massa a sua discrezione gli operai (salvo intese e non meglio definite vigilanze sugli abusi), cancellando di fatto l’articolo 18 e facendo un balzo indietro di mezzo secolo nel campo dei diritti sociali. Quando qualcuno li critica, i due si gonfiano come un tacchino e cercano di impressionare, stigmatizzando ogni voce contraria al coro delle lodi sperticate.