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sabato 13 ottobre 2012

Un Nobel in ossequio all’Europa-colonia

barrosoIl premio è stato assegnato quest’anno all’Ue. Grande soddisfazione per gli eurocrati che però dimenticano che l’Europa è una colonia Usa

di Andrea Perrone
Rinascita

Oramai più nulla ci stupisce e la nostra Europa resta soltanto una colonia dell’impero a stelle e strisce, premiata per la sua sudditanza pluridecennale a Washington. È in estrema sintesi il giudizio di tutti coloro che si oppongono all’Europa-colonia, riguardo al premio Nobel per la pace assegnato quest’anno all’Unione europea.

Come al solito sono giunte immediate le dichiarazioni soddisfate dei Soloni di Bruxelles, primo fra tutti il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso (nella foto): “L’Ue è qualcosa di molto prezioso per il bene degli europei e del mondo”. E poi l’eurocrate ha ricordato che l’Unione europea è stata in grado di unificare e ricostruire i Paesi distrutti dalla guerra e infine unificato quelli usciti dalla Guerra Fredda. “È un grande onore per l’intera Unione europea, per tutti i 500 milioni di cittadini, aver ricevuto il Nobel per la pace”, ha osservato Barroso.

La motivazione di questo assurdo premio è stata spiegata dal Comitato norvegese, affermando che la decisione è stata “unanime”,  ma che l’Ue ha vinto il premio Nobel 2012 perché “per oltre 60 anni ha contribuito all’avanzamento della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani”. Viene da sorridere, per chi ne ha il coraggio a sentire le motivazioni.

Innanzitutto per tutti questi anni l’Europa ovvero quella sottospecie di unione di popoli, la cosiddetta Ue, è stata uno strumento degli interessi americani, una piattaforma da cui l’impero a stelle e strisce ha lanciato e continua a lanciare le sue guerre contro chi non si piega ai suoi voleri e ai suoi “valori” (“diritti umani”, ma solo per i suoi cittadini e i suoi maggiordomi; democrazia, per chi si piega ai loro diktat; dominio del dollaro; presenza di infrastrutture, armamento e militari americani in altri Paesi sotto il diretto controllo politico-economico di Washington; ecc.).

domenica 9 ottobre 2011

La conquista statunitense dell’Africa: Il ruolo di Francia e Israele

Aurorasito

Introduzione di Cynthia McKinney
Mahdi Darius Nazemroaya e Julien Teil, Global Research, 6 Ottobre 2011

Introduzione: l’”Operazione Gladio” Ieri e oggi …

Comincerò con lo scandalo dell’Operazione Gladio che culminò nell’omicidio dell’ex Primo Ministro italiano, Aldo Moro, che nel giorno del suo rapimento, doveva annunciare un governo di coalizione che includeva il Partito comunista italiano.

Un leader del Partito della Democrazia Cristiana a quel tempo, Francesco Cossiga, ammette nel documentario della BBC Timewatch del 1992 sull’Operazione Gladio, che aveva scelto di “sacrificare” Moro “per il bene della Repubblica.” Non diversamente dagli omicidi mirati cui il governo degli Stati Uniti si impegna in tutto il mondo, in cui qualcuno emette decisioni extra-giudiziarie su chi vive e chi muore. Nel documentario in tre parti, Cossiga afferma che la decisione ha fatto divenire i suoi capelli bianchi.

L’Operazione Gladio è il brutto racconto reale della decisione del governo degli Stati Uniti di assumere i membri dell’apparato statale di sicurezza di vari paesi europei, e in collaborazione con gli alleati, seminare il terrore tra cittadini innocenti, facendo esplodere stazioni ferroviarie, sparare sui clienti nei negozi, e persino uccidere agenti di polizia, al fine di convincere le popolazioni dell’Europa a rinunciare ai propri diritti, in cambio di alcune misure di sicurezza e di un maggiore potere dello stato.

Sì, l’Operazione Gladio, insieme con l’Operazione Northwoods e la politica statunitense verso la Libia, ci mostra che gli Stati Uniti sono disposti a creare gruppi terroristici per giustificare la lotta contro i terroristi! Purtroppo, questo è diventato il modus operandi del nostro governo in Afghanistan e Pakistan, Europa e Africa. E il governo degli Stati Uniti, dopo il 11/9/01, è diventato il “laboratorio di Gladio” delle politiche statali che stracciano le leggi degli Stati Uniti, fanno a brandelli il diritto e mente all’opinione pubblica.

L’inizio della fine dell’Operazione Gladio si è verificata quando l’esistenza del programma degli Stati Uniti venne rivelato. Tipicamente, invece di fermarsi su tale follia, gli europei si unirono alla creazione di molteplici altre “Operazioni Gladio“. Collocato in questo contesto, la seconda parte della serie in quattro parti di Mahdi Darius Nazemroaya che rivela come la politica degli Stati Uniti in Libia, sia proprio in linea con le azioni degli Stati Uniti nel passato. A mio parere, la Libia non sarà l’ultima occasione per tali attività illegali, a meno che non fermiamo il nostro governo.

Insieme al francese documentarista Julien Teil, Nazemroaya tesse lo scenario ‘incredibile-ma-vero’ dei presunti terroristi finanziati dagli US, ricercati dall’Interpol, e che divennero i protagonisti principali del genocidio della NATO che si svolge attualmente in Libia.

Cynthia McKinney, 1 ottobre 2011.

Cynthia McKinney è un ex membro del Congresso degli Stati Uniti, che è stata eletta in due diverso distretti federali della Georgia, per la Camera dei Rappresentanti USA, nel 1993-2003 e nel 2005-2007, come membro del Partito Democratico degli Stati Uniti. E’ stata anche la candidata alla presidenza, nel 2008, del partito dei Verdi. Mentre era al Congresso degli Stati Uniti, ha operato nella Commissione Finanze e Banche degli Stati Uniti, nel Comitato per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti (in seguito ribattezzato Comitato sulle Forze Armate degli Stati Uniti), e nel comitato per gli affari esteri negli Stati Uniti (in seguito ribattezzato comitato sulle relazioni internazionali degli Stati Uniti). Ha anche operato  nella sottocommissione per le relazioni internazionali degli Stati Uniti sulle  operazioni internazionali e i diritti umani. McKinney ha  condotto due missioni in Libia e anche recentemente terminato un tour nazionale  negli Stati Uniti, sponsorizzata dalla Coalizione ANSWER, sulla campagna di bombardamenti della NATO in Libia.

Ordine dal Caos?

Una ripetizione del disordine e del pandemonio generato in Afghanistan è in cantiere per il continente africano. Gli Stati Uniti, con l’aiuto di Gran Bretagna, Pakistan e Arabia Saudita, hanno creato i brutali taliban e poi, alla fine, combattere una guerra contro i suoi alleati taliban. Allo stesso modo, in tutta l’Africa, gli Stati Uniti e i loro alleati, stanno creando una nuova serie di futuri nemici da combattere, ma dopo aver inizialmente lavorato con essi o utilizzandoli per seminare i semi del caos in Africa.
Washington ha letteralmente aiutato le insurrezioni con finanziamenti e progetti di cambiamento di regime in Africa. “Diritti umani” e “democratizzazione” sono utilizzati anche come  cortina fumogena del colonialismo e della guerra. I cosiddetti diritti umani e le organizzazioni umanitarie, sono ormai partner in questo progetto imperialista contro l’Africa.

Francia e Israele: sono le outsourcing di Washington  per le operazioni sporche in Africa?

L’Africa è solo un fronte internazionale per un sistema imperiale in espansione. I meccanismi di un vero e proprio sistema globale imperiale sono al lavoro in questo senso. Washington agisce attraverso la NATO e dei suoi alleati in Africa. Ognuno degli alleati e dei satelliti di Washington, ha un ruolo specifico da svolgere in questo sistema globale dell’impero. Tel Aviv ha svolto un ruolo molto attivo nel continente africano. Israele è stato uno dei principali sostenitori del Sud Africa durante il regime dell’apartheid. Tel Aviv ha anche aiutato a contrabbandare armi in Sudan e in Africa orientale, per balcanizzare quella grande nazione africana, contribuendo alla destabilizzazione dell’Africa orientale. Gli israeliani sono stati molto attivi in Kenya e Uganda. Israele è stato presente ovunque ci fossero conflitti, compresi quelli relativi ai diamanti insanguinati.

Israele sta ora lavorando con Washington per stabilire l’egemonia totale sul continente africano. Tel Aviv è attivamente coinvolto – attraverso i suoi legami commerciali e le operazioni di intelligence – per garantire i contatti e gli accordi richiesti da Washington per l’estensione dei suoi interessi in Africa. Uno dei principali obiettivi di Washington è interrompere lo sviluppo dell’influenza cinese in Africa. Israele e i think-tank israeliani, hanno anche svolto un ruolo importante nel plasmare il geo-stratagemma degli Stati Uniti in Africa.
La Francia, come un ex padrone coloniale e potenza in declino, invece, è sempre stata un rivale e concorrente di Washington nel continente africano. Con l’aumento dell’influenza di potenze non tradizionali in Africa, come la Repubblica popolare cinese, sia Washington che Parigi hanno previsto modalità di cooperazione. Sul più ampio palcoscenico globale, questo è anche evidente. Sia gli Stati Uniti che molte delle maggiori potenze dell’Unione europea, considerano la Cina e le altre potenze emergenti come una minaccia globale. Hanno deciso di porre fine alla loro rivalità e di lavorare insieme. Così, un accordo tra Washington e l’Unione europea è stato preso, portando ad alcune forme di integrazione politica. Questo consenso può anche essere stato prodotto dalla crescente influenza degli Stati Uniti in capitali europee.

In ogni caso, è stato potenziato dall’inizio della presidenza di Nicolas Sarkozy, nel 2007.
Il presidente Sarkozy non ha perso tempo spingendo per la reintegrazione della struttura di comando militare francese in seno alla NATO. Le conseguenze di questa azione ha portato alla subordinazione dei militari francesi al Pentagono. Nel 1966, il presidente Charles de Gaulle trasse fuori dalla Nato le forze francesi e rimosse la Francia dalle strutture di comando militare della NATO, come mezzo per mantenere l’indipendenza francese. Nicolas Sarkozy ha invertito tutto ciò. Nel 2009, Sarkozy ha ordinato che la Francia si unisse alla struttura di comando militare integrato della NATO. Nel 2010, ha anche firmato un accordo per iniziare la fusione dei militari inglesi e francesi.

Nel continente africano, Parigi è un luogo speciale o di nicchia nel sistema dell’impero globale statunitense. Questo ruolo è quello di un gendarme regionale in Nord Africa, Africa occidentale, Africa centrale, e in tutti i paesi che erano ex colonie francesi. Il ruolo speciale della Francia, in altre parole, è dovuto alla sua storia e all’attuale, anche se calante, posizione della Francia in Africa, in particolare attraverso la “Françafrique.” L’Unione del Mediterraneo, che Sarkozy ha lanciato ufficialmente, è un esempio di questi interessi francesi in Nord Africa.

Il National Endowment for Democracy (NED) ha inoltre lavorato con la Federazione Internazionale dei Diritti Umani (Fédération internationale des ligues des droits de l’Homme, FIDH) della Francia La FIDH è ben consolidata in Africa. Il NED ha essenzialmente esternalizzato verso il FIDH il suo lavoro nel manipolare e controllare i governi, i movimenti, le società e gli stati africani. E’ stata la FIDH e la Lega libico per i diritti umani (LLHR) affiliata, che hanno contribuito a orchestrare i vari pretesti per la guerra della NATO contro la Libia, approvata dal Consiglio di sicurezza attraverso dichiarazioni infondate e false.

Il National Endowment for Democracy e la sua Partnersip con la Federazione Internazionale dei Diritti Umani in Africa

In seguito all’elezione di Nicolas Sarkozy nel 2007 a leader della Repubblica francese, la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) ha iniziato a sviluppare una vera e propria partnership con il National Endowment for Democracy. Entrambe le organizzazioni sono anche partner in seno al Movimento Mondiale per la Democrazia. Carl Gershman, presidente del NED, si recò in Francia nel dicembre 2009 per incontrare la FIDH e approfondire la collaborazione tra le due organizzazioni, e anche per discutere dell’Africa. [1] Ha anche incontrato persone che sono sono considerati come lobbisti  pro-Israele in Francia.
La partnership tra la FIDH e la NED è per lo più basata in Africa e nel mondo arabo, dove si interseca. Queste partnership operano in una zona che comprende paesi come la Costa d’Avorio (Costa d’Avorio), il Niger, e la Repubblica Democratica del Congo. Il Nord Africa, che comprende la Libia e Algeria, è stata una determinata area focalizzata dalla FIDH, dove Washington, Parigi e la NATO hanno chiaramente grandi ambizioni.

La FIDH, che è direttamente coinvolta nel lancio della guerra contro la Libia, ha ricevuto anche finanziamenti diretti, sotto forma di sovvenzioni, dal National Endowment for Democracy per i suoi programmi in Africa. Nel 2010, una sovvenzione di 140.186 dollari del NED (Stati Uniti) è stata uno degli ultimi importi indicati dalla FIDH per il suo lavoro in Africa. [2] Il NED è stato anche uno dei primi firmatari, insieme con la Lega libica per i diritti umani (LLHR) e l’osservatorio delle Nazioni Unite, a chiedere l’intervento internazionale contro la Libia. [3]

AFRICOM e la strada post-9/11 verso la conquista dell’Africa

Nel 2002, il Pentagono ha iniziato importanti operazioni volte a controllare militarmente l’Africa. Questo ebbe la forma del Pan-Sahel Initiative, che è stata lanciata dal Comando europeo degli Stati Uniti (EUCOM) e dall’US Central Command (CENTCOM). Sotto la bandiera di questo progetto, l’esercito statunitense avrebbe addestrato le truppe di Mali, Ciad, Mauritania e Niger. I piani per stabilire la Pan-Sahel Initiative, tuttavia, risalgono al 2001, quando l’iniziativa per l’Africa fu effettivamente lanciata dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001 (9/11). Washington chiaramente pianificava delle azioni militari in Africa, che già comprendevano almeno tre paesi (Libia, Somalia e Sudan) identificati come bersagli nemici da attaccare, da parte del Pentagono e della Casa Bianca, secondo il Generale Wesley Clark.
Jacques Chirac, il presidente della Francia, al momento, ha cercato di opporre resistenza alla spinta degli Stati Uniti in Africa, rinvigorendo il ruolo della Germania in Africa, come mezzo per sostenere la Francia. Nel 2007, per la prima volta il vertice franco-africano aprì le sue porte anche alla partecipazione tedesca. [4] Tuttavia, Angela Merkel aveva idee diverse sulla direzione e la posizione che la partnership franco-tedesca dovrebbe prendere rispetto a Washington.

Nel 2001, lo slancio verso la creazione dell’Africa Command degli Stati Uniti (AFRICOM) era iniziato. AFRICOM, tuttavia, è stato ufficialmente autorizzato nel dicembre 2006, e la decisione di crearlo è stato annunciato alcuni mesi poco dopo, nel febbraio 2007. Fu nel 2007 che AFRICOM fu creato. E’ importante notare che questo slancio ricevette anche l’incoraggiamento di Israele, a causa degli interessi di Israele in Africa. L’Istituto di Alti Studi Strategici e Politici (IASPS), per esempio, è stata una delle organizzazioni israeliane che hanno sostenuto la creazione di AFRICOM. Sulla base del Pan-Sahel Initiative, la Trans-Saharan Counterterrorism Initiative (TSCTI) fu lanciata dal Pentagono nel 2005, sotto il comando del CENTCOM. Mali, Ciad, Mauritania e Niger furono ora raggiunti da Algeria, Mauritania, Marocco, Senegal, Nigeria e Tunisia, nel giro  della cooperazione militare africana con il Pentagono. Più tardi, la Trans-Saharan Counterterrorism Initiative svenne trasferita al comando di Africom, il 1° ottobre 2008, quando AFRICOM fu attivato.

Il Sahel e il Sahara: gli Stati Uniti adottano chiaramente i vecchi progetti coloniali della Francia in Africa

Combattere il terrorismo” e eseguire “missioni umanitarie“, sono solo facciate o cortine fumogene per Washington e i suoi alleati. Mentre gli obiettivi dichiarati del Pentagono sono combattere il terrorismo in Africa, gli obiettivi reali di Washington sono ristrutturare l’Africa e stabilire un ordine neo-coloniale. A questo proposito, Washington ha effettivamente adottato i progetti coloniali

della Francia in Africa. Ciò include anche l’iniziativa inglese, italiana, statunitense e francese per dividere la Libia, dal 1943, così come l’iniziativa unilaterale francese per ridisegnare il Nord Africa. In questo schema, gli Stati Uniti e le sue coorti hanno intenzione di creare guerre etniche e odio settario tra i berberi, gli arabi ed altri in Nord Africa.

La mappa utilizzata da Washington per combattere il terrorismo sotto la Pan-Sahel Initiative la dice lunga. Il campo o area di attività dei terroristi, entro i confini di Algeria, Libia, Niger, Ciad, Mali e Mauritania, in base alla designazione di Washington, è molto simile ai confini o limiti del soggetto coloniale territoriale che la Francia ha cercato di sostenere in Africa, nel 1957. Parigi aveva progettato di sostenere questa entità africane nel Sahara occidentale e centrale, come dipartimento francese (provincia) direttamente legato alla Francia, insieme alla coste dell’Algeria.

Questa entità coloniale francese nel Sahara è stata nominata Organizzazione Comune delle Regioni del Sahara (Organisation commune des regions sahariennes, OCR). Comprendeva i confini interni dei paesi del Sahel e del Sahara di Mali, Niger, Ciad e Algeria. L’obiettivo francese era raccogliere e vincolare tutti i territori ricchi di risorse naturali di questi paesi in questa entità centrale, l’OCR, per il controllo e l’estrazione francesi. Le risorse in questo settore comprendono petrolio, gas e uranio. Eppure, i movimenti della resistenza in Africa, e in particolare la lotta per l’indipendenza algerina, ha inferto a Parigi un duro colpo. La Francia ha dovuto rinunciare alla sua ricerca e infine dissolvere la OCR nel 1962, a causa dell’indipendenza algerina e della presa di posizione anti-coloniale in Africa. A causa della spinta verso l’indipendenza in Africa, la Francia fu finalmente tagliato fuori dall’entroterra nel Sahara che voleva controllare.

Washington aveva chiaramente in mente questa zona ricca di energia e ricco di risorse, quando ha disegnato le aree dell’Africa che hanno bisogno di essere purificate dalle presunte cellule e bande terroristiche. L’Istituto Francese di Relazioni Internazionali (Institut français des relazioni internationals, IFRI), ha anche apertamente discusso  questo legame tra terroristi e zone ricche di energia, in un report del marzo 2011. [5] E’ in questo contesto che la fusione di interessi e le aziende franco-tedeschi e anglo-statunitensi, hanno consentito alla Francia di diventare parte integrante del sistema imperiale globale statunitense, con interessi comuni.

Regime Change in Libia e il National Endowment for Democracy: un nesso tra  terrorismo e diritti umani

Dal 2001, gli Stati Uniti si sono falsamente presentati come il campione contro il terrorismo. La Trans-Saharan Counterterrorism Initiative (TSCTI), che ha aperto le porte di AFRICOM in Africa, è stata giustificata come necessaria da Washington per combattere le organizzazioni come il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) in Algeria, e il Gruppo combattente islamico libico (LIFG) in Libia. Eppure, Washington sta collaborando e utilizzando questi stessi gruppi in Libia, insieme con il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia e i Fratelli Musulmani, come soldati di fanteria e ascari. Inoltre, molte delle persone chiave libiche sono membri del National Endowment for Democracy (NED), e sono membri di questi gruppi, e hanno anche fatto parte di conferenze e progetti di lunga data, che spingevano a un cambiamento di regime in Libia.

Uno degli incontri chiave per stabilire quello che sarebbe diventato l’attuale Consiglio di transizione in Libia, ha avuto luogo nel 1994, quando il Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (CSIS) ha organizzato una conferenza con Ashur Shamis e Aly (Ali) Abuzakuuk. Il titolo della conferenza del 1994 era “La Libia post-Gheddafi: prospettive e  promesse“. Nel 2005 un altro convegno con Shamis Ashur si tenne nella capitale britannica, Londra, dove si sarebbe costruita l’idea del cambiamento di regime in Libia. [6] Allora, chi sono questi esponenti dell’opposizione libica? Una serie di domande deve essere posta. Hanno legami con Washington nuovi o vecchi? Con chi sono associati? Inoltre, hanno avuto un sostegno di lunga data o no?

Ashur Shamis è uno dei membri fondatori del Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia, che nel 1981 fu fondata nel Sudan. Era ricercato dall’Interpol e dalla polizia libica per anni. [7] Ahsur è anche indicato come il regista del National Endowment for Democracy nel Forum libico per lo sviluppo umano e politico. E’ anche il redattore della pagina web Akhbar, che è stato registrato come Akhbar Cultural Limited e collegato al NED. Ha inoltre partecipato a recenti conferenze chiave per il cambio di regime a Tripoli. Ciò includono la conferenza di Londra, tenuta dalla Chatham House nel 2011, che ha discusso i piani della NATO per l’invasione di Tripoli. [8]

Come Ashur, Aly Abuzaakouk è anch’egli membro del Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia ed è legato al National Endowment for Democracy. E’ stato uno dei partecipanti chiave alla tavola rotonda tenuta per il Democracy Awards 2011 della NED. [9] Come Ashur, è ricercato dall’Interpol e opera come regista in occasione del Forum libico per lo sviluppo umano e politico. [10]

Vi è anche Noman Benotman, ex leader e fondatore del Gruppo combattente islamico libico (LIFG) e terrorista ricercato. È presentato come ex terrorista. Benotman ha convenientemente lasciato il Gruppo combattente islamico libico, a seguito degli attacchi dell’11 settembre 2001. Benotman non è solo un direttore del National Endowment for Democracy (NED) al Forum libico per lo sviluppo umano e politico, è anche legato alla rete al-Jazeera.

Non solo questi tre uomini vivevano senza problemi in Gran Bretagna, mentre erano ricercati dall’Interpol a causa del loro legame con il terrorismo o, nel caso di Abuzaakouk, per crimini legati alla droga e alla contraffazione, ma hanno anche ricevuto sovvenzioni dagli Stati Uniti. Hanno ricevuto borse dagli Stati Uniti, che ha formalizzato la loro appartenenza a diverse organizzazioni sponsorizzate dal NED, che hanno sostenuto l’ordine del giorno del cambio di regime in Libia. Questo ordine del giorno del cambio di regime è stato sostenuto anche da MI6 e CIA. Inoltre, i documenti legali che sono stati registrati dalla NED, per quanto riguarda questi individui, sono stati deliberatamente e illegalmente manomessi. L’identità di individui chiave è stata nascosta nella lista degli amministratori del NED. Così, documenti legali sono stati compilati in modo fraudolento per nascondere l’identità di un individuo con lo pseudonimo di “Beata Wozniak.” Perfino la data di nascita di Wozniak non è valida, apparendo come 1 gennaio, 1 (01/01/0001). E’ una persona che è stata membro del consiglio di tutte queste organizzazioni del NED. Viene indicata come regista e segretaria di Akbar, Transparency Libya Limited e diverse altre società britanniche.

La “Lunga Guerra” entra in Africa: la porta dell’Africa è stata aperta

L’avvento del terrorismo in Africa è parte di una deliberata strategia usata dagli Stati Uniti e dai loro alleati, tra cui la NATO. La strategia consiste nell’”aprire la porta del continente africano“, espandendo la cosiddetta “guerra globale al terrorismo.” Quest’ultimo fornisce una giustificazione all’obiettivo degli Stati Uniti di ampliare la propria presenza militare nel continente africano. E’ stata anche usata come pretesto per creare l’AFRICOM del Pentagono.

L’US Africa Command (AFRICOM) è destinata a “gestire Africa” per conto di Washington. Consiste nel creare una versione africana della NATO, al fine di realizzare l’occupazione dell’Africa. A questo proposito, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno già stabilito un budget per combattere le stesse organizzazioni terroristiche che hanno creato e sostenuto (anche con aiuti militari ed armi), attraverso la carta dell’Africa, dalla Somalia, Sudan, Libia, Mali a Mauritania, Niger, Algeria e Nigeria. I terroristi non solo combattono per gli USA sul terreno, ma tengono anche contatti con Washington ed agiscono come paravento attraverso le cosiddette organizzazioni per i diritti umani, che hanno il mandato di “promuovere la democrazia“. Sul terreno, questi stessi individui e organizzazioni sono utilizzati per destabilizzare i loro rispettivi paesi. Sono supportati anche a livello internazionale, da Washington, per lavorare attivamente al cambio di regime e all’intervento militare in nome dei diritti umani e della democrazia. La Libia ne è un chiaro esempio.

Mahdi Darius Nazemroaya è un  Sociologo e ricercatore associato al Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione (CRG), di Montréal. E’ specializzato su Medio Oriente e Asia Centrale. E’ stato in Libia per oltre due mesi ed è stato anche un inviato speciale per Flashpoints, che è un programma di Berkeley, in California. Nazemroaya ha pubblicato questi articoli sulla Libia assieme ai colloqui con Cynthia McKinney trasmessi su Freedom Now, uno show trasmesso da KPFK, Los Angeles, California.

Julien Teil è un operatore video e documentarista investigativo  francese. E’ anche stato recentemente in Libia per circa un mese.

NOTE
[1] National Endowment for Democracy, “NED Strengths Democracy Ties with France,” 16 marzo 2010
[2] National Endowment for Democracy, “Africa Regional,” Agosto 2011
[3] United Nations Watch et al., “Urgent Appeal to Stop Atrocities in Libya: Sent by 70 NGOs to the US, EU, and UN,” 21 Febbraio 2011
[4] Ministry of European and Foreign Affairs (France), “XXIVème sommet Afrique-France,” Febbraio 2007
[5] Etienne de Durand, “Francs-tireurs et Centurions. Les ambiguïtés de l’héritage contre-insurrectionnel français,” Institut français des relations internationals, Marzo 2011
[6] The National Conference of the Libyan Opposition, “The National Accord: The National Conference of the Libyan Opposition, London, 26 giugno 2005“, 2005.
[7] Interpol Wanted Notice for Ashour Al-Shamis
[8] Foreign and Commonwealth Office (UK), “Chatam House event: the future of Libya”, Giugno 2011
[9] National Democracy for Democracy, “2011 Democracy Award Biographies”, Giugno 2011
[10] Interpol Wanted Notice for Ali Ramadan Abu Za Kouk

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Fonte: Aurorasito 9 Ottobre 2011

venerdì 11 marzo 2011

L'incubo ricorrente della Terza Guerra Mondiale

wwwiii Come ho più volte esposto in questo blog, gli Stati Uniti e la NATO si stanno preparando certamente ad una grande guerra, visto il grande dispiegamento di armi nuove e convenzionali, in mare, terra e spazio. La NATO sta intessendo anche una grande rete di alleanze strategiche, in nome del Nuovo Concetto di Difesa Strategica e tutto questo, naturalmente, per proteggerci dal terrorismo internazionale.

I paesi della NATO ed altri paesi che, condividendo le stesse preoccupazioni, hanno stretto accordi, come ad esempio la Nuova Zelanda, vengono "gentilmente pattugliati" da aerei NATO.

Nel corso degli ultimi anni, non sono mancati gli allarmi, lanciati da importanti storici ed altri analisti anche se, nessuno può prevedere cosa accadrà, con certezza matematica. Ma adesso, anche un ex analista tecnico di Goldman Sachs, ha dichiarato a Fox News che ci sarà una Terza Guerra Mondiale, come avevano già affermato in precedenza, Gerald Celente e Marc Faber, personaggi non trascurabili. Certamente le loro previsioni non vanno sottovalutate. Speriamo solo che si sbaglino. Dakota Jones

L'ex analista di Goldman Sachs Charles Nenner si unisce a  Marc Faber e Gerald Celente nel predire una grande guerra
Da  washingtonsblog

Ho scritto nel 2009:

L'affermazione che l'America avrebbe lanciato altre guerre per aiutare l'economia è scandaloso, giusto?

Certamente.

Ma l'economista Marc Faber ha ripetutamente affermato che il governo americano inizierà nuove guerre in risposta alla crisi economica:

Faber è pazzo?

Forse. Ma il maggior previsore di tendenze, Gerald Celente, è daccordo.

Justin Raimondo di Antiwar scrive:

Come ha affermato l'altro giorno Gerald Celente, uno dei pochi previsori economici che ha predetto il crollo del 2008, "I governi sembrano essere incoraggiati dai loro fallimenti." Quello che recentemente il generale William E. Odom ha descritto come "il peggior disastro strategico nella storia militare americana" – l'invasione dell'Iraq – sarà seguita da un'operazione militare molto più grande, che graverà su di noi per molti anni a venire. Questa sembra certamente una prova a sostegno della tesi di Celente, e l'uomo che ha predetto il crollo del mercato azionario del 1987, la caduta dell'Unione Sovietica, l'esplosione dot-com, il rialzo del mercato dell'oro, la recessione del 2001, la bolla immobiliare, il "panico del 2008," e che ora sta parlando dell'inevitabile scoppio della bolla"salvataggio", ha altre cattive notizie:

"Data la tendenza dei governi a trasformare enormi fallimenti in mega-fallimenti, il corso classico che seguono, quando tutto il resto fallisce, è quello di portare la loro nazione in guerra."

Mentre la crisi economica si intensifica e il sistema delle banche centrali basato sul debito, da segni di non poter più ri-gonfiare la bolla con la creazione di attività dal nulla, una logica economica e politica per la guerra, è facile da trovare; perchè, se la dottrina keynesiana secondo cui la spesa pubblica è l'unico modo per noi di tirarci fuori da una depressione economica, è vera, le spese militari sicuramente sono il modo più rapido per iniettare "vita" in un sistema in fallimento. Questo non funziona, economicamente, dal momento che la crisi è solo mascherata dall'atmosfera di guerra dell'emergenza e "temporanea" privazione. Politicamente, tuttavia, è un salvavita per la nostra élite dominante, che si sforza di allontanare la colpa da se stessa verso qualche bersaglio "straniero".

È il  trucco più vecchio del libro, e si sta svolgendo davanti ai nostri occhi, mentre gli Stati Uniti si preparano ad inviare ancora più truppe  sul fronte afghano e minacciano l'Iran con draconiane sanzioni economiche, un passo o due dalla guerra aperta.

Una depressione economica incombente e la terribile prospettiva di un'altra grande guerra – lo scenario peggiore - sembra svolgersi, come un incubo ricorrente...

Celente ha identificato diverse bolle, la più recente è la "bolla del salvataggio," che si prevede possa scoppiare in qualsiasi momento, e dopo potrebbe seguire ancora un'altra bolla che Celente chiama "la madre di tutte le bolle," che imploderà con un clamoroso fragore che sarà sentito in tutto il mondo – la bolla dell'Impero.

La nostra attuale politica estera di egemonia globale e aggressione sfrenata semplicemente non è sostenibile, non quando siamo sul punto di diventare quello che siamo soliti chiamare un paese del Terzo Mondo, un paese che è in bancarotta e di fronte alla prospettiva di una radicale riduzione del tenore di vita. A meno che, naturalmente, l'atmosfera di "crisi" possa essere sostenuta pressocchè all'infinito.

George W. Bush aveva ripiegato sull'11/9, ma quella canzone diventa più vecchia ogni volta che la cantano.  Il nostro nuovo presidente ha bisogno di trovare un equivalente, per distogliere la nostra attenzione da Goldman Sachs verso qualche nemico d'oltremare che, in qualche modo, deve essere ritenuto responsabile per la nostra situazione attuale.

Si dice che il New Deal dell'FDR non ci abbia tirati fuori della grande depressione, ma la Seconda Guerra Mondiale l'ha fatto. La verità è che, in tempo di guerra, quando le persone si apprestano al sacrificio  per l'intera durata dell'"emergenza", i problemi economici restano anestetizzati  da abbondanti dosi di battiti nazionalisti del petto e rettitudine morale. Le carenze e gli standards di vita in caduta erano mascherati da un sistema di razionamento, in tempo di guerra, e hanno notevolmente abbassato le aspettative. E proprio come la Seconda Guerra Mondiale ci ha  abituati al saccheggio economico delle nostre élites ladrone, così la Terza Guerra Mondiale fornirà un sacco di copertura per l'acquisizione virtuale di tutta l'industria da parte del governo e per la demonizzazione di tutti i politici di opposizione come "terroristi".

Un impossibile scenario fantascientifico? Oppure una proiezione ragionevole delle tendenze attuali? Celente, il cui record di previsioni è impressionante, a dir poco, vede la guerra con l'Iran come l'equivalente della Terza Guerra Mondiale, con conseguenze economiche, sociali e politiche che manderanno in tilt ciò che resta del nostro impero. Questo è lo scoppio della bolla "iperpotenza", la presunzione che in qualche modo noi – l'ultima superpotenza rimasta in piedi – sfideremo la storia e il senso comune ed eviteremo la sorte di tutti gli imperi: declino e caduta.

Certamente spero che Faber e Celente si sbaglino. Ma sono entrambi ragazzi molto intelligenti che hanno azzeccato molte delle loro previsioni per decenni. Anche quando le loro previsioni sono state considerate estremamente controverse, al momento, molte di esse si sono rivelate giuste.

Ieri, l'ex analista tecnico della Goldman Sachs, Charles Nenner - che ha fatto alcune importanti ed accurate previsioni, e annovera tra i suoi clienti alcune grandi banche e  alcuni principali hedge funds, agenzie di borsa e individui con un alto patrimono netto - ha detto a Fox News che ci sarà "una grande guerra a partire alla fine del 2012-2013", che porterà il Dow Jones a 5000.

Di conseguenza, dice Nenner:

Ho detto ai miei clienti e ai fondi pensione, alle grandi aziende e fondi speculativi di uscire, quasi totalmente  fuori dal mercato.

Guarda il video

Come ho più volte documentato, alcuni influenti americani stanno facendo pressione per la guerra, per salvare l'economia americana -  cosa che viene spesso chiamata "keynesianesimo militare". Ma, come molti economisti hanno dimostrato, la guerra in realtà è - contrariamente al mito comunemente accettato - un male per l'economia.

Naturalmente, qualcuno che non è gli Stati Uniti potrebbe iniziare una guerra.

Dato che le cattive politiche economiche portano a disordini a livello mondiale, è impossibile prevedere dove una scintilla potrebbe cadere e portare ad una  più ampia conflagrazione.

Fonte: washingtonsblog  10 Marzo 2011
Traduzione: Dakota Jones

domenica 16 gennaio 2011

La logica della follia imperiale e il Cammino verso la III Guerra Mondiale

di Andrew Gavin Marshall
Global Research
                                                                
imperial insanity
Definire lo stratagemma Imperiale

Alla fine degli anni '90 Brzezinski disegnò il progetto imperiale  dell'America del 21° secolo nel suo libro, "La Grande Scacchiera". Egli affermò senza mezzi termini che "è imperativo che  non emerga alcuno sfidante eurasiatico, in grado di dominare l'Eurasia e, quindi, di sfidare l'America", e poi chiarì la natura imperiale della sua strategia:

Per dirla con una terminologia che richiama l'età più brutale di antichi imperi, i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale  sono evitare la collusione e mantenere la dipendenza dalla sicurezza tra i vassalli, per mantenere tributari docili e protetti, e impedire  ai barbari di avvicinarsi [1].

Egli ha inoltre spiegato che le nazioni dell'Asia centrale (o "Balcani eurasiatici", come egli si riferisce ad essi):

sono importanti dal punto di vista della sicurezza e delle ambizioni storiche di almeno tre dei loro vicini più immediati e più potenti, cioè la Russia, la Turchia e l'Iran, con la Cina che segnala un crescente interesse politico nella regione. Ma i Balcani Eurasiatici sono infinitamente più importanti come potenziale premio economico: Un'enorme concentrazione di gas naturale e di riserve di petrolio si trova nella regione, oltre ad importanti minerali, compreso l'oro [2]

Brzezinski sottolinea "che l'interesse primario dell'America è contribuire ad assicurare che nessuna singola potenza arrivi a controllare questo spazio geopolitico e che la comunità globale abbia libero accesso finanziario ed economico ad esso." [3]

Obama come un fanatico imperialista

Obama non ha perso tempo nella rapida accelerazione delle avventure imperiali dell'America. Mentre il Pentagono ha smesso di utilizzare il termine "Guerra al Terrore" per adottare il termine  "Operazioni d'emergenza oltremare". [4] Questa doveva essere la tipica strategia dell'amministrazione Obama: cambiare l'aspetto, non la sostanza. Il nome è stato cambiato, ma la "Guerra al Terrore" è rimasta, e non solo, ha subìto una rapida accelerazione ad un livello che non sarebbe stato possibile se fosse stata intrapresa dalla precedente amministrazione.

L'attuale espansione dell'imperialismo americano nel mondo ha subìto una rapida accelerazione da quando Obama è diventato presidente, e sembra intenzionato ad iniziare ed espandere guerre in tutto il mondo. Quando Obama è diventato presidente, l'America e i suoi alleati occidentali erano impegnati in una serie di guerre, occupazioni e destabilizzazioni segrete, in Afghanistan, Iraq, Somalia, Congo, e Obama si è insediato nel mezzo della brutale aggressione di Israele contro Gaza. Fin dall'inizio della sua presidenza, Obama ha subito giustificato il feroce attacco di Israele contro i palestinesi innocenti, ha rapidamente accelerato la guerra e l'occupazione dell'Afghanistan, ha ampliato la guerra in Pakistan, ha iniziato una nuova guerra nello Yemen, e ha sostenuto un colpo di stato militare in Honduras, che ha rimosso un governo democratico popolare in favore di una brutale dittatura. Obama ha ampliato le operazioni segrete speciali in tutto il Medio Oriente, Asia centrale e nel Corno d'Africa, e sta spianando la strada per una guerra contro l'Iran. [5] In realtà, l'amministrazione Obama ha ampliato le forze per Operazioni Speciali in 75 paesi in tutto il mondo (a fronte di una quota di 60 durante il regime di Bush). Tra i molti paesi che hanno visto l'espansione delle  operazioni ci sono  Yemen, Colombia, Filippine, Somalia, Pakistan, insieme a  molti altri. [6] Inoltre, negli ultimi mesi, l'amministrazione Obama ha dato una dimostrazione di forza alla  Corea del Nord, dando inizio potenzialmente ad una guerra contro la Penisola Coreana. Con la creazione dell'Africa Command del Pentagono (AFRICOM), la politica estera americana nel continente è diventata sempre più militarizzata.

Nessun continente è sicuro, a quanto sembra. L'America e le sue coorti della NATO stanno adottando una folle politica estera, accelerando drammaticamente l'imperialismo militare palese e quello segreto. Questa politica sembra dirigersi verso un eventuale confronto con le potenze orientali emergenti, in particolare la Cina, ma potenzialmente anche l'India e la Russia. Cina e America, in particolare, si stanno dirigendo verso  una rotta di collisione imperiale: in Asia orientale, Asia meridionale, Asia centrale, Medio Oriente, Africa e America Latina. La competizione per l'accesso alle risorse ricorda il "Grande Gioco" del 19° secolo, nel quale l'Afghanistan era un campo di battaglia centrale.

Si potrebbe pensare che nel mezzo di una massiccia crisi economica globale, la peggiore che il mondo abbia mai visto, le principali nazioni avrebbero ridimensionato la loro sovraestensione imperiale e il militarismo, al fine di ridurre i loro debiti e preservare le loro economie. Tuttavia, vi è una "logica imperiale" dietro  questa situazione, che deve essere collocata all'interno di un più ampio contesto geopolitico.

Concettualizzare l'ascesa della Cina

In primo luogo, dobbiamo affrontare adeguatamente la natura della crescita della Cina nel nuovo ordine mondiale. Quello a cui stiamo assistendo è una situazione storica eccezionale. Per la prima volta, la crescita di una "nuova" potenza non sta avvenendo in contrasto con le potenze egemoniche del tempo, ma entro l'ordine egemonico. In breve, la crescita della Cina non è stata un'ascesa contro l'America, ma piuttosto  all'interno del nuovo ordine mondiale americano. Così, la Cina è cresciuta tanto quanto l'Occidente ha permesso che crescesse, ma questo non significa che la Cina non cercherà di servire i propri interessi, ora che ha raggiunto uno status globale e un potere significativi. La Cina è cresciuta integrandosi con il sistema economico dominato dall'Occidente, e in particolare con il sistema bancario occidentale e i sistemi delle banche centrali. Cina e America sono economicamente dipendenti l'una dall'altra, mentre l'America acquista i prodotti a basso costo della Cina, la Cina finanzia il debito dell'America. In effetti, la Cina sta finanziando anche l'avventurismo imperiale dell'America.

Così, ci troviamo di fronte ad una situazione unica: di dipendenza reciproca e di concorrenza. Mentre la Cina e l'America sono dipendenti l'una dall'altra, sono anche i più grandi concorrenti l'una dell'altra, particolarmente in termini di accesso e controllo delle risorse. Ad esempio, la Cina sostiene sia l'Iran che il Sudan. Queste due nazioni sono i principali obiettivi delle ambizioni imperiali dell'America, non a causa di preoccupazioni umanitarie o anti-terrorismo (anche se questa è la propaganda a cui aderisce più spesso), ma a causa delle ingenti e strategiche risorse  di queste nazioni. Dato che non sono asservite all'Occidente e in particolare all'America, vengono considerate "nazioni nemiche", e da quì l'attenzione dei media nel demonizzare queste nazioni in modo che l'opinione pubblica appoggi  le forze mlitari e qualunque altro mezzo per attuare il "cambio di regime." La Cina appoggia queste nazioni per avere  accesso alle loro risorse, e per contrastare l'influenza americana.

Governance globale

Per aggiungere un altro elemento complesso a questa storia, dobbiamo inserire questo rapporto conflittuale nel contesto della crisi economica globale e nella risposta del mondo ad essa. Il G20 è il principale luogo di discussione per il  "governo globale", in cui le nazioni del mondo stanno lavorando insieme per coordinare sempre più i loro approcci al governo su scala globale. La crisi economica ha fornito l'impulso per incoraggiare l'attuazione di progetti per costruire un sistema di governo economico globale: una banca centrale globale e una valuta globale. Così, mentre Cina e America stanno cercando di integrarsi ulteriormente a livello economico e a livello mondiale, sono anche in competizione per l'accesso e il controllo delle risorse.

La logica dietro tutto questo è che le due potenze vogliono essere in grado di negoziare il processo di costruzione di un sistema di governo globale, dal punto di vista più sicuro. Mentre è generalmente riconosciuto che il mondo sta assistendo "alla crescita dell'Oriente" in particolare di Cina e India, vediamo il centro del potere globale, spostarsi dall'Atlantico al Pacifico. Molti commentatori per anni hanno analizzato e discusso la questione, ma il fatto che l'Atlantico sia stato il centro del potere  negli ultimi 500 anni significa che non sarà così facile spostarlo nel Pacifico. In realtà, le potenze occidentali non solo riconoscono l'ascesa dell'Oriente, ma anche che l'Oriente è risorto perché hanno consentito e aiutato  questo processo. Le potenze occidentali hanno fatto questo non per qualche disegno benevolo, ma perché i poteri  intellettuali organizzati dell'Occidente (cioè, i principali think tanks e interessi bancari) hanno cercato di creare un perfetto sistema di governo globale, in cui il potere non oscilla da nazione a nazione, o dall'Occidente all'Oriente, ma piuttosto il potere è centralizzato a livello globale. Questo è ovviamente un progetto a lungo termine e non (se mai) sarà realizzato per molti decenni ancora. Eppure, è attraverso la crisi - economica, politica e sociale - che questo processo di governance globale può essere rapidamente accelerato.

Vedi: "La crisi è un'opportunità": Gestire una depressione globale per creare un governo globale

Comprensione delle dinamiche Imperiali

C'è un'altro aspetto di questo complicato rapporto che deve essere affrontato, quello delle dinamiche interne tra l'élite politica, economica e militare delle nazioni dominanti. Per motivi di tempo, mi concentrerò sulle due principali nazioni: l'America e la Cina. L'apparato di sicurezza nazionale americana, vale a dire il Pentagono e i servizi di intelligence, hanno lavorato a lungo al servizio delle élite economiche e in stretta collaborazione con l'élite politica. Esiste una rete, che il presidente Eisenhower chiamava  "complesso militare-industriale" in cui gli interessi di questi tre settori si sovrappongono e danno all'America  il suo slancio imperiale.

E' all'interno dei grandi think tanks della nazione, in particolare il Council on Foreign Relations (CFR), che viene incoraggiata e gestita la coesione tra questi settori. I think tanks, il CFR soprattutto, sono i responsabili della politica dell'impero americano. I think tanks raccolgono le élites dei settori più potenti della società -  militare, politico, corporativo, bancario, l'intelligence, il mondo accademico, i media, ecc - e discutono, dibattono e, infine, producono modelli di strategia e consigli per la politica estera americana. Le persone provenienti da questi gruppi di riflessione si muovono dentro e fuori dagli ambienti politici, creando una porta girevole tra i pianificatori della politica e quelli che la attuano. I think tanks, in questo contesto, sono essenzialmente i motori intellettuali dell'impero americano.
Eppure, non dobbiamo supporre che perché sono raggruppati, lavorino insieme, ed elaborino strategie comuni, che abbiano identici punti di vista o metodi; c'è ancora un notevole dibattito, dissenso e conflitto all'interno e tra i think tanks e i circoli della politica. Tuttavia, il dissenso all'interno di queste istituzioni è di natura particolare: si concentra sul dissenso rispetto ai metodi, piuttosto che agli obiettivi e alle finalità. Per elaborare, i membri (almeno i membri molto influenti) di think tanks come il Council on Foreign Relations non sono in disaccordo sui motivi dell'impero e sostengono l'egemonia americana, che viene considerata un dato di fatto, e spesso non viene neanche messa in discussione. Questo è l'ambiente in cui opera l'élite.

Quello che viene discusso e dibattuto sono i metodi utilizzati per raggiungere questo obiettivo, ed è qui che sorgono conflitti significativi tra le élites. Banchieri e corporazioni cercano di proteggere i loro interessi finanziari ed economici in tutto il mondo. Gli ufficiali militari si occupano di preservare ed espandere l'egemonia americana, e si concentrano essenzialmente sui potenziali rivali per la potenza militare americana, e tendono a favorire l'opzione militare in politica estera rispetto a quella diplomatica. I rappresentanti politici si devono preoccupare dell'influenza totale e dell'avanzamento della potenza americana - economicamente, militarmente, politicamente, ecc - e quindi devono pesare e bilanciare questi molteplici interessi  e tradurli in una politica coerente. Spesso, pendono verso l'uso della forza militare, tuttavia, ci sono stati molti incidenti e problemi per i quali i leaders politici hanno prevalso nel perseguire obiettivi militari e diplomatici. Ci sono stati anche casi in cui i militari hanno tentato di prevalere su leaders politici rabbiosamente militaristi, come durante l'amministrazione Bush, con i neo-conservatori che spingevano per un confronto diretto con l'Iran, suscitando dirette e spesso pubbliche proteste e confutazioni da parte della struttura militare, come pure diverse dimissioni di generali di alto rango.

Queste differenze sono spesso rappresentate direttamente all'interno delle amministrazioni. Gli anni di Kennedy, per esempio, hanno visto un conflitto continuo tra i militari e gli ambienti di intelligence e la leadership civile di John Kennedy. Il suo breve periodo come presidente è stato caratterizzato da una lotta costante per impedire che i servizi militari e di intelligence d'America - in particolare il Joint Chiefs of Staff e la CIA - iniziassero guerre con Cuba, il Vietnam e l'Unione Sovietica. La crisi missilistica cubana si è risolta solo dopo che Robert Kennedy, fratello di JFK e il Procuratore Generale, hanno convinto i russi che Kennedy rischiava di essere rovesciato da un golpe militare, il che avrebbe portato ad una guerra nucleare, diretta contro l'URSS.

Vedi: Lo Stato di Sicurezza Nazionale e l'assassinio di JFK

Così, all'interno dei circoli politici chiave - e cioè think tanks e consigli presidenziali - c'è sempre un delicato equilibrio tra questi interessi diversi. Fondamentalmente, con la potenza americana, tutti restano fermi e sostengono gli interessi corporativi e bancari americani. La Diplomazia, in particolare, si occupa di sostenere gli interessi corporativi e finanziari americani all'estero. Come le comuncazioni diplomatiche di Wikileaks  hanno rivelato in una serie di casi, i diplomatici intervengono in favore di e lavorano con vari interessi corporativi. I diplomatici statunitensi hanno agito come agenti di vendita presso governi stranieri per la promozione di aerei Boeing rispetto ai concorrenti europei, hanno fatto pressioni sul governo del Bangladesh per riaprire una miniera ampiamente contrastata dal paese  gestita da una società britannica, hanno esercitato pressioni sul governo russo direttamente in favore degli interessi di Visa e Mastercard, impegnati nella condivisione delle informazioni con la Shell in Nigeria, e nella Repubblica centro-asiatico del Kyrgyzstan, i diplomatici degli Stati Uniti hanno lavorato con i maggiori interessi economici britannici e il principe britannico Andrew , che ha affermato che "il Regno Unito, l'Europa occidentale (e per estensione anche voi americani)" erano "di nuovo nel mezzo del Grande Gioco", e che, "questa volta puntiamo alla vittoria!"[7]

I militari, a loro volta, difendono gli interessi delle élites corporative e finanziarie, mentre i paesi che non si sottomettono all'egemonia economica americana vengono considerati nemici, e i militari vengono inviati in ultima analisi, ad attuare il  "cambio di regime". Le preoccupazioni strategiche sono de facto preoccupazioni economiche. I militari si occupano di preservare ed espandere l'egemonia americana, e per farlo devono essere concentrati sulle minacce al dominio americano, così come di garantire luoghi strategici in tutto il mondo. Ad esempio, la guerra nello Yemen, un paese con molto poco da offrire dal punto di vista economico, ha molto a che fare con gli interessi strategico-economici. La "minaccia" nello Yemen non è raffigurata da al-Qaeda, anche se questo è ciò che viene più propagandato, ma piuttosto è il fatto che la dittatura a lungo sostenuto del presidente Saleh, che è stato al potere dal 1978, è minacciata da un movimento ribelle del nord e da un massiccio movimento secessionista nel sud, mentre il governo centrale controlla a mala pena un terzo del paese. In breve, lo Yemen è sull'orlo della rivoluzione, e così, il fedele alleato dell'America e despota locale, il presidente Saleh, è a rischio di essere usurpato. Così, l'America ha fortemente sovvenzionato i militari dello Yemen, e ha anche lanciato direttamente missili da crociera, ha inviato delle forze speciali e altre forme di assistenza per aiutare il dittatore dello Yemen a sopprimere, reprimere ed infine schiacciare i movimenti popolari per l'indipendenza e la libertà del popolo.

Ora, perché questo  interesse strategico-economico in America, per un paese che ha ben poche risorse da offrire? La risposta è nella posizione geografica dello Yemen. Direttamente sotto l'Arabia Saudita, un governo rivoluzionario, che sarebbe molto antagonista nei confronti dello stato saudita braccio armato di fiducia dell'America, costituirebbe una minaccia per gli interessi americani in tutto il Medio Oriente. Probabilmente l'Iran cercherebbe di allearsi e di aiutare un tale governo, e questo permetterebbe  all'Iran di espandere la propria influenza politica nella regione. È per questo che l'Arabia Saudita sta assumendo direttamente  un'azione militare nello Yemen contro i ribelli nel nord, lungo il suo confine. L'élite saudita ha paura che sentimenti ribelli si diffondano nella stessa Arabia Saudita. Non stupisce quindi, che l'America abbia recentemente firmato con l'Arabia Saudita il più grande affare per le armi nella storia degli Stati Uniti, per un totale di 60 miliardi di dollari, nel tentativo di sostenere le operazioni nello Yemen ma principalmente per agire contro l'influenza iraniana nella regione. Inoltre, lo Yemen si trova sopra il Golfo di Aden, di fronte al Corno d'Africa (in particolare la Somalia), che collega il Mar Nero al Mar Arabico, che di per sé è una delle principali vie di trasporto del petrolio nel mondo. Il controllo strategico sulle nazioni che costeggiano il Golfo di Aden è di interesse primario per gli strateghi dell'impero americano, sia esso di natura militare, politica o economica.

Lo Yemen inoltre si trova proprio di fronte alle acque  della Somalia, un altro paese devastato dalla macchina da guerra americana. Come hanno confermato alcune comunicazioni diplomatiche, nel 2006, "l'amministrazione Bush ha spinto l'Etiopia ad invadere la Somalia con un occhio alla frantumazione dell'Unione delle Corti islamiche", che è esattamente quello che è successo, e la Somalia è diventata uno "Stato abbandonato" impantanato da allora in una guerra civile. [8] La pirateria che è esplosa nelle acque al largo della Somalia è il risultato del massiccio sversamento di rifiuti tossici e della pesca invasiva  da parte di compagnie di navigazione europee e americane e da altre principali compagnie di navigazione, e sono serviti come pretesto per la militarizzazione delle acque. In questo contesto, sarebbe inaccettabile da un punto di vista strategico  consentire allo Yemen di sottrarsi all'influenza americana. Così, l'America è in guerra nello Yemen.
Vedi: Yemen: l'apparato segreto dell'impero americano

In Cina, invece, non esiste una coesione diretta tra i settori politico, economico e militare. I militari cinesi sono intensamente nazionalisti, e mentre l'élite politica è più cooperativa con gli interessi degli Stati Uniti e spesso lavora per realizzare interessi reciproci, i militari vedono l'America come una sfida diretta e antagonista (ovviamente, lo è). L'elite economica della Cina, in particolare la sua élite bancaria, è fortemente integrata con l'Occidente, tanto che è molto difficile separare le due cose. Non c'è una tale integrazione tra le istituzioni militari cinesi e americane, né esiste una dinamica all'interno della Cina, che riflette il sistema imperiale americano. Le divisioni tra gli ambienti militari, politici ed economici sono più marcate all'interno della Cina che in America. La leadership politica cinese si trova in una situazione molto difficile. Determinati a vedere l'avanzamento economico della Cina, devono lavorare con l'America e l'Occidente. Tuttavia, sulle principali questioni politiche (ad esempio con Taiwan), la leadership politica deve attenersi ad un approccio fortemente nazionalista, cosa che è contro gli interessi degli Stati Uniti, e favorevole agli interessi militari cinesi. L'aumento della superiorità militare è visto come un aspetto fondamentale e obiettivo del crescente predominio politico della Cina nel panorama mondiale. Come un alto generale cinese ha dichiarato nel 2005, "La Cina deve usare armi nucleari contro gli Stati Uniti, se i militari americani dovessero intervenire in un qualunque conflitto con Taiwan". Il generale ha citato "la logica di guerra" secondo la quale "una potenza più debole ha bisogno di usare il massimo sforzo per sconfiggere un rivale più forte. Il suo punto di vista suggerisce che gli elementi all'interno delle forze armate cinesi sono "determinati" a rispondere con estrema forza se l'America intervenisse in un potenziale conflitto con Taiwan, affermando che:" Noi cinesi ci prepariamo per la distruzione di tutte le città a est di Xian. Naturalmente gli americani dovranno essere preparati al fatto che centinaia di città saranno distrutte dai cinesi."[9]

La logica della cooperazione competitiva

L'esercito cinese deve essere pronto a tutelare i suoi interessi economici all'estero, se  vuole avere il controllo sulla propria crescita economica e quindi mantenere il potere internazionale. Così, la spinta politica della Cina a sostenere e accrescere la sua influenza internazionale è molto contraddittorio. Da un lato, questo significa collaborare attivamente con l'America e l'Occidente (soprattutto in materia economica, come abbiamo visto con il G20, dove la Cina si sta impegnando nel dialogo e nell'attuazione degli accordi di governance globale), e, dall'altro, la Cina deve  sfidare l'America e l'Occidente, al fine di garantire un proprio accesso  e controllo delle risorse vitali necessarie per la propria crescita economica e politica. La Cina è in una situazione paradossale. Mentre lavora con l'Occidente per costruire l'apparato di un governo globale, la Cina non vuole imposizioni, e vuole invece una forte posizione negoziale negli accordi. Quindi, mentre è impegnata in discussioni e negoziati per la costruzione di un sistema di governance globale, la Cina deve anche cercare attivamente di aumentare il proprio controllo sulle principali risorse strategiche del mondo, al fine di rafforzare la propria posizione negoziale. Spesso succede che, quando le parti in conflitto vengono al tavolo dei negoziati, le operazioni a terra subiscono una rapida accelerazione, al fine di rafforzare la posizione negoziale della propria parte.

Questo è accaduto durante la Guerra Civile ruandese, quando durante tutto il Processo di Pace di Arusha, il Fronte Patriottico Ruandese (RPF), fortemente sostenuto dagli americani contro il governo del Ruanda (che era sostenuto da Francia e Belgio), ha accelerato rapidamente la sua campagna militare, prendendo così il sopravvento nel corso dei negoziati, cosa che ha funzionato a suo favore, traducendosi infine nel genocidio del Rwanda (innescato dall'assassinio del presidente ruandese da parte dell'RPF), e nell'usurpazione del potere da parte dell'RPF in Ruanda. Questo è anche il caso dei negoziati di "pace" tra Israele e Palestina, come ad esempio durante il processo di Oslo, quando Israele ha rapidamente accelerato l'espansione dei suoi insediamenti nei territori occupati, in sostanza, pulizia etnica di gran parte della popolazione palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Questo processo di espansione della pulizia etnica è ciò che i leaders politici e i media occidentali chiamano un "processo di pace." Così, quando i palestinesi reagiscono a questa pulizia etnica e all'espansione degli insediamenti (che è un processo intrinsecamente violento), o quando avviene un attentato suicida o un attacco con i mortai in reazione a questa espansione degli insediamenti, i leaders politici occidentali e i media danno la colpa ai palestinesi di aver rotto un periodo di "pace relativa" o "relativa calma." A quanto pare, viene considerata "pace relativa" se vengono uccisi solo i palestinesi. Quindi, Israele si assicura sempre che attraverso un processo di negoziazione, i suoi interessi siano soddisfatti sopra tutti gli altri.

Così vediamo questa logica con la Cina e l'America oggi. Anche se non direttamente in guerra l'una contro l'altra, esse sono l'una la più grande competizione dell'altra. Questa competizione è prevalente in Asia centrale, in cui l'America è alla ricerca di una posizione dominante su enormi riserve di gas naturale della regione, privando così la Cina di accesso e controllo di tali risorse strategiche vitali. E 'anche fortemente presente in Africa, dove la Cina ha rappresentato per i governi africani un'alternativa al ricorso alla Banca Mondiale e all'FMI  per ottenere prestiti e assistenza in cambio di accesso alle risorse. In questo contesto, l'America ha stabilito il suo ultimo comando del Pentagono, l'Africa Command (AFRICOM) per unire diplomazia americana, società civile e politica militare in Africa sotto il comando del Pentagono. In Medio Oriente, l'America è in primo luogo dominante, spingendo così la Cina  ad allearsi con l'Iran. In Sud America, la Cina si allea con i governi progressisti che in qualche modo sono sorti in opposizione all'egemonia americana  militare ed economica nella regione.

Questa logica vale sia per l'America che per la Cina. Entrambe cercano di acquisire una posizione dominante mentre sono impegnate in discussioni e nella realizzazione di un apparato di governo globale. Questo porta le due potenze a ricercare la cooperazione e un mutuo vantaggio, ma, contemporaneamente, a competere a livello mondiale per il controllo delle risorse. Questo è amplificato dalla crisi economica globale, che ha rivelato la debolezza dell'economia globale, e in effetti del sistema monetario e bancario globale. L'economia mondiale è sull'orlo del collasso totale. Il prossimo decennio sarà segnato da una nuova Grande Depressione. Ciò fornisce un ulteriore impulso per entrambi questi poteri ad accelerare rapidamente il loro controllo sulle risorse e ad  ampliare le loro avventure militari.

L'impero americano è in declino, ed è completamente fallito, ma la sua élite, che in realtà è più globale che nazionale, nella sua ideologia e nel suo orientamento, sta cercando di non far semplicemente sparire  la potenza americana, per essere sostituita dalla potenza cinese, ma piuttosto di usare la potenza americana per costruire l'apparato di una nuova struttura globale del potere, in modo che l'impero americano semplicemente svanisca in una struttura globale. Si tratta di un delicato equilibrio per l'elite globale, e richiede l'integrazione della Cina e delle altre potenze dominanti all'interno di questo sistema. Esso implica anche, intrinsecamente, il dominio finale sul "Sud del mondo" (Africa, America Latina, e  parti dell'Asia). Questo è un processo in corso del tutto nuovo. Gli imperi sono sorti e caduti durante tutta la storia umana. Questa volta, la caduta dell'impero americano si svolge nel contesto dell'ascesa di un genere completamente nuovo di potenza: globale per estensione, struttura e autorità. Questo sarà senza dubbio uno degli eventi che definiranno la geopolitica dei prossimi decenni.

Storicamente, i periodi di declino imperiale sono contrassegnati da una rapida accelerazione dei conflitti internazionali e delle guerre, poichè il potere in declino cerca di controllare, per quanto può e in maniera più veloce possibile (per questo vediamo l'espansione apparentemente folle dell'America con guerre, conflitti e militarizzazione ovunque nel mondo), mentre le potenze emergenti cercano di approfittare di questo declino, al fine di accelerare il crollo del potere in declino, e garantire la loro successiva posizione di potere dominante. Eppure, in questo panorama geopolitico del 21° secolo, siamo di fronte a questo contesto del tutto nuovo, dove il declino di un impero e l'ascesa di una nuova potenza sono in corso mentre entrambi cercano di integrarsi e costruire un sistema e una struttura di potere completamente nuovi, ma entrambi cercano di garantire per se stessi una posizione dominante all'interno di questa nuova struttura. Il potenziale di conflitto è enorme, il possibile risultato una guerra diretta tra America e Cina, o una moltitudine di guerre globali per procura tra di loro.

Questo nuovo secolo sarà davvero interessante. Le prospettive di una nuova guerra globale stanno aumentando ad ogni accelerazione dell'avventura  militare. L'antagonista principale in questo teatro dell'assurdo sono senza dubbio, gli Stati Uniti. Se il mondo è diretto verso la terza guerra mondiale, è perché l'America ha reso una tale situazione inevitabile. Non si può escludere che per molte élites globali, un tale risultato possa essere desiderabile in sé e per sé. Dopo tutto, la prima guerra mondiale ha dato l'impulso per la formazione della Lega delle Nazioni, e la seconda guerra mondiale ha dato la spinta alle Nazioni Unite a "garantire la pace fra le nazioni." In un mondo in gran parte gestito da strateghi globali, sarebbe ingenuo non considerare che una nuova guerra mondiale potrebbe essere proprio l'evento di cui hanno bisogno per convincere i popoli del mondo ad accettare il loro desiderio di un sistema di governance globale; senza dubbio per assicurare la "Pace nel Mondo"  Almeno, io sono sicuro che l'inganno avverrà sotto questa falsa apparenza.

Fonte: Global Research 14 Gennaio 2011
Traduzione: Dakota Jones

Note

[1] Brzezinski, Zbigniew. The Grand Chessboard: American Primacy and its Geostrategic Imperatives. Basic Books, 1997: Page 40

[2] Ibid, page 124.

[3] Ibid, page 148.

[4] Scott Wilson and Al Kamen, 'Global War On Terror' Is Given New Name, The Washington Post: 25 March 2009: http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/03/24/AR2009032402818.html

[5] MARK MAZZETTI, U.S. Is Said to Expand Secret Actions in Mideast, The New York Times, 24 May 2010: http://www.nytimes.com/2010/05/25/world/25military.html?_r=1

[6] Karen DeYoung and Greg Jaffe, U.S. 'secret war' expands globally as Special Operations forces take larger role, The Washington Post, 4 June 2010: http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/06/03/AR2010060304965.html

[7] Eric Lipton, Diplomats Help Push Sales of Jetliners on the Global Market, The New York Times, 2 January 2011: http://www.nytimes.com/2011/01/03/business/03wikileaks-boeing.html?_r=2; Fariha Karim, WikiLeaks cables: US pushed for reopening of Bangladesh coal mine, The Guardian, 21 December 2010: http://www.guardian.co.uk/world/2010/dec/21/wikileaks-cables-us-bangladesh-coal-mine?INTCMP=SRCH; Luke Harding and Tom Parfitt, WikiLeaks cables: US 'lobbied Russia on behalf of Visa and MasterCard', The Guardian, 8 December 2010: http://www.guardian.co.uk/world/2010/dec/08/wikileaks-us-russia-visa-mastercard; David Smith, WikiLeaks cables: Shell's grip on Nigerian state revealed, The Guardian, 8 December 2010: http://www.guardian.co.uk/business/2010/dec/08/wikileaks-cables-shell-nigeria-spying; Borzou Daragahi and Alexandra Sandels, CENTRAL ASIA: WikiLeaks dispatches reveal a Great Game for the 21st century, Babylon & Beyond: LA Times Blog, 14 December 2010: http://latimesblogs.latimes.com/babylonbeyond/2010/12/great-game-wikileaks-turkmenistan-prince-edward-chevron-kazakhstan-kyrgyzstan-azerbaijan-turkmenista.html

[8] Rob Prince, WikiLeaks Reveals U.S. Twisted Ethiopia's Arm to Invade Somalia, Global Research, 26 December 2010: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=22512

[9] JOSEPH KAHN, Chinese General Threatens Use of A-Bombs if U.S. Intrudes, The New York Times, 15 July 2005: http://www.nytimes.com/2005/07/15/international/asia/15china.html

giovedì 20 maggio 2010

L'eresia della Grecia offre una speranza

di John Pilger
20 Maggio 2010

"Nel mondo in via di sviluppo, un sistema di selezione imposto dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale ha da tempo stabilito se la gente vive o muore."

greece-hope Mentre la classe politica della Gran Bretagna fa finta che il suo matrimonio combinato tra Panco Pinco e Pinco Panco  sia la democrazia, l'ispirazione per il resto di noi è la Grecia. Non c'è da stupirsi che la Grecia non venga presentata come un faro, ma come un "paese spazzatura" ottenendo la meritata punizione per il suo "obeso settore pubblico" e la "cultura delle scorciatoie" (the Observer). L'eresia della Grecia è che la rivolta della gente comune offre una speranza autentica a differenza di quella elargita dal signore della guerra alla Casa Bianca.

La crisi che ha portato al "salvataggio" della Grecia da parte delle banche europee e del Fondo Monetario Internazionale è il prodotto di un grottesco sistema finanziario già di per sé  in crisi. La Grecia è il modello in miniatura di una moderna lotta di classe che raramente è stata riportata come tale e viene portata avanti con tutta l'urgenza del panico tra i ricchi dell'impero.

Ciò che rende diversa la Grecia è che nel suo passatro c'è invasione, occupazione straniera, il tradimento da parte dell'Occidente, la dittatura militare e la resistenza popolare. Le persone comuni non sono intimorite dal corrotto corporativismo che domina nell'Unione europea. Il governo di destra di Kostas Karamanlis, che ha preceduto l'attuale governo Pasok (Labourista) di George Papandreou, è stato descritto dal sociologo francese Jean Ziegler come "una macchina per il sistematico saccheggio delle risorse del Paese".

La Federal Reserve Board degli Stati Uniti sta investigando sul ruolo della Goldman Sachs e di altri gestori di hedge fund americani che hanno scommesso sul fallimento della Grecia mentre i beni pubblici venivano  liquidati e i ricchi evasori fiscali depositavano 360.000.000.000  di euro nelle banche svizzere. I più grandi armatori greci hanno trasferito le loro aziende all'estero. Questa emorragia di capitale continua con l'approvazione delle banche centrali europee e dei governi.

All'11 per cento, il deficit della Grecia non è superiore a quello americano. Tuttavia, quando il governo Papandreou ha cercato di prendere prestiti al mercato dei capitali internazionali, è stato efficacemente bloccato dalle agenzie americane di rating aziendale, che hanno "declassato" la Grecia a "spazzatura". Queste stesse agenzie hanno assegnato  rating tripla-A per miliardi di dollari in titoli cosiddetti mutui sub-prime accelerando così  il crollo economico del 2008.

Quello che è successo in Grecia è un furto di portata epica, anche se di entità sconosciuta. In Gran Bretagna, il "salvataggio" di banche come Northern Rock e Royal Bank of Scotland è costato miliardi di sterline. Grazie all'ex primo ministro, Gordon Brown, e alla sua passione per gli istinti di avarizia della City di Londra, questi doni fatti con i soldi pubblici sono stati senza condizioni, mentre i banchieri hanno continuato a pagarsi  i premi che chiamano bonus. Sotto la politica monoculturale della Gran Bretagna, possono fare come vogliono. Negli Stati Uniti, la situazione è ancora più eclatante, riferisce il giornalista investigativo David DeGraw, "[mentre le maggiori banche di Wall Street] che hanno distrutto l'economia pagano zero tasse e ricevono 33 miliardi di dollari in rimborsi".

In Grecia, come in America e Gran Bretagna, alla gente comune è stato detto che deve ripagare i debiti dei ricchi e dei potenti che li hanno generati. Lavoro, pensioni e servizi pubblici devono essere tagliati e bruciati, mentre i corsari sono in carica. Per l'Unione europea e il Fondo monetario internazionale, si presenta la possibilità di "cambiare la cultura" e smantellare il benessere sociale della Grecia, così come il FMI e la Banca mondiale hanno "strutturalmente modificato" (impoverito e controllato) paesi in tutto il mondo in via di sviluppo.

La Grecia è odiata per le stesse ragioni per le quali la Jugoslavia doveva essere fisicamente distrutta con la scusa di proteggere le popolazioni del Kosovo. La maggior parte dei greci sono impiegati dello Stato, e i giovani e i sindacati formano  un'alleanza popolare che non è stata sottomessa; i carri armati dei colonnelli sul campus dell'Università di Atene nel 1967 rimangono un fantasma politico. Tale resistenza è un'anatema per i banchieri centrali europei e considerata come un ostacolo al bisogno del capitale tedesco di conquistare mercati a seguito della riunificazione della travagliata Germania.

In Gran Bretagna, è stato grazie alla propaganda trentennale di una teoria economica estrema conosciuta prima come monetarismo e poi come neo-liberalismo, che il nuovo primo ministro può, come il suo predecessore, esprimere le sue richieste che la gente comune paghi i debiti di imbroglioni sebbene "fiscalmente responsabili". Le innominabili sono la povertà e la classe. Quasi un terzo dei bambini inglesi restano al di sotto della soglia di povertà. Nella classe operaia della città di Londra, nel Kent, l'aspettativa di vita maschile è di 70 anni. A due chilometri di distanza, a Hampstead, è 80. Quando la Russia è stata oggetto di una simile "terapia d'urto" negli anni '90, l'aspettativa di vita scese in picchiata. Un record di 40 milioni di americani impoveriti attualmente ricevono buoni alimentari: cioè, non possono permettersi il cibo.

Nel mondo in via di sviluppo, un sistema di selezione imposto dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale ha da tempo stabilito se la gente vive o muore. Ogni volta che le tariffe e i sussidi alimentari e il carburante vengono eliminati dal diktat del FMI, i piccoli agricoltori sanno di essere stati dichiarati sacrificabili. L'Istituto per le Risorse Mondiali (World Resources Institute) calcola che il bilancio raggiunge 13-18.000.000 di bambini che muoiono ogni anno. "Questo", ha scritto l'economista Lester C. Thurow, "non è metafora, né similitudine di guerra, ma la guerra stessa".

Le stesse forze imperiali hanno utilizzato terribili armi da guerra contro i paesi colpiti nei quali la maggior parte sono bambini e hanno approvato la tortura come strumento di politica estera. Si tratta di un fenomeno di negazione per cui a nessuna di queste aggressioni ai danni dell'umanità, in cui la Gran Bretagna è impegnata attivamente, è stato permesso di influire sulle elezioni inglesi.

La gente per le strade di Atene, non soffre di questo disagio. Sanno perfettamente chi sia il nemico e loro si considerano, ancora una volta sotto l'occupazione straniera. E ancora una volta, stanno insorgendo, con coraggio. Quando David Cameron inizierà a tagliare 6.000.000.000 di sterline dai servizi pubblici in Gran Bretagna, significherà che sta contrattando perchè quello che accade in Grecia  non accada in Gran Bretagna. Dovremmo dimostrare che ha torto.

Traduzione di Dakota Jones
Fonte: www.johnpilger.com

domenica 6 dicembre 2009

Il discorso di guerra di Obama

obama-westpoint Quello che segue è il discorso integrale di Obama alla West Point, dedicato a quelli che hanno pensato, anche solo per un momento, che Obama fosse un uomo di pace. Questo è un discorso di guerra e l'America, secondo Obama, deve allargare i suoi sforzi al Pakistan e, se occorre, anche in Somalia e nello Yemen...o altrove. Obama ci tiene molto, all'inizio del discorso, a spiegare ai cadetti come l'America ed i suoi alleati "siano stati costretti"  ad entrare in guerra e lo fa in maniera retorica, a volte meccanica, senza distaccarsi mai dalla versione ufficiale, buona per le anime semplici.

E' chiaro, da questo discorso, che Obama era d'accordo con la guerra già dall'inizio; a tratti, sembra quasi di sentire Bush. Viene quasi da chiedersi a chi fossero dirette le parole di Obama, a chi la sua dichiarazione di fedeltà.

Avrei molte considerazioni da fare sulle sue parole ma ne risulterebbe un trattato lunghissimo. 
Pubblico il discorso integrale perchè ognuno, in base alle sue conoscenze, possa farsi un'idea personale.
 

Buona sera. Al Corpo dei Cadetti degli Stati Uniti, agli uomini e alle donne delle nostre Forze Armate, e ai miei compatrioti americani: io voglio parlare con voi questa sera del nostro sforzo in Afghanistan - la natura del nostro impegno, la portata dei nostri interessi , e la strategia che la mia amministrazione metterà in atto per portare questa guerra ad una conclusione positiva. E 'un onore straordinario per me farlo qui a West Point - dove tanti uomini e donne sono disposti a battersi per la nostra sicurezza, ed a rappresentare il meglio del  nostro paese.

Per affrontare questi importanti temi, in primo luogo è importante ricordare perché l'America ed i suoi alleati sono stati costretti a combattere una guerra in Afghanistan. Non abbiamo voluto questa guerra. L'11 settembre 2001, 19 uomini hanno dirottato quattro aerei e li hanno usati per uccidere circa 3000 persone. Hanno colpito i nostri centri nevralgici  militari ed economici. Hanno preso la vita di uomini innocenti, donne e bambini senza riguardo alla loro fede o razza o condizione sociale. Se non fosse stato per le azioni eroiche dei passeggeri a bordo di uno di quei voli, avrebbero potuto anche colpire  uno dei grandi simboli della nostra democrazia, a Washington, e uccidere molte più persone.

Come sappiamo, questi uomini appartenevano ad Al Qaeda - un gruppo di estremisti che hanno distorto e contaminato l'Islam, una delle grandi religioni del mondo, per giustificare il massacro di innocenti. La base operativa di Al Qaeda era  in Afghanistan, ospitata dai talebani - un movimento senza scrupoli, repressivo e radicale che aveva preso il controllo del paese dopo che era stato devastato da anni di occupazione sovietica e guerra civile, e dopo che l'attenzione dell'America e dei  nostri amici era stata rivolta altrove.

Pochi giorni dopo il 9 / 11, il Congresso ha autorizzato l'uso della forza contro al Qaeda e coloro che la ospitavano - un 'autorizzazione che continua fino ad oggi. Il voto al Senato è stato di 98 a zero. Il voto della Camera è stato 420-1. Per la prima volta nella sua storia, il North Atlantic Treaty Organization (NATO) ha invocato l'articolo 5 - l'impegno secondo cui l'attacco a uno stato membro è un attacco a tutti. E il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato l'uso di tutte le misure necessarie per rispondere alle attacchi dell'11 / 9. L'America, i nostri alleati e il mondo hanno agito come un'unica forza per distruggere la rete terroristica di al Qaeda e  proteggere la nostra sicurezza comune.

Sotto la bandiera di questa unità nazionale e  legittimità internazionale - e solo dopo che i talebani si sono rifiutati di consegnare Osama bin Laden - abbiamo inviato le nostre truppe in Afghanistan. Nel giro di pochi mesi, al Qaeda è stata dispersa e molti dei suoi operatori sono stati uccisi. I talebani sono stati spinti con la forza a fare marcia indietro. Un luogo che aveva conosciuto decenni di paura ora aveva un motivo di speranza. Nel corso di una conferenza convocata dalle Nazioni Unite, è stato affermato un governo provvisorio, sotto la presidenza di Hamid Karzai. E una International Security Assistance Force è stata istituita per contribuire a realizzare una pace duratura in un paese lacerato dalla guerra.

Poi, all'inizio del 2003, fu presa la decisione di intraprendere una seconda guerra, in Iraq. Il lacerante dibattito sulla guerra in Iraq è ben noto e non è necessario ripeterlo qui. Basta dire che per i successivi sei anni, la guerra in Iraq ha impegnato gran parte delle nostre truppe, delle nostre risorse, della nostra diplomazia, e della nostra attenzione nazionale - e che la decisione di andare in Iraq ha causato divisioni sostanziali tra l'America e gran parte del mondo.

Oggi, dopo costi straordinari, stiamo portando la guerra in Iraq verso una conclusione responsabile. Provvederemo a rimuovere le nostre brigate di combattimento dall'Iraq entro la fine della prossima estate, e tutte le nostre truppe entro la fine del 2011. Quella che  stiamo dando è una testimonianza del carattere degli uomini e delle donne in uniforme. (Applausi) Grazie al loro coraggio, alla grinta e alla perseveranza, abbiamo dato agli iracheni la possibilità di plasmare il proprio futuro, e noi stiamo per lasciare con successo l'Iraq al suo popolo.

Ma, mentre abbiamo faticosamente guadagnato tappe in Iraq, la situazione in Afghanistan è peggiorata. Dopo la fuga oltre confine, nel 2001 e nel 2002, la leadership di Al Qaeda ha stabilito in Pakistan un rifugio sicuro. Nonostante un governo legittimo sia stato eletto dal popolo afghano, è stato ostacolato dalla corruzione, dal traffico di droga, da un'economia sotto-sviluppata, e forze di sicurezza insufficienti.

Nel corso degli ultimi anni, i talebani hanno mantenuto una causa comune con Al Qaeda, in quanto entrambi vogliono il rovesciamento del governo afgano. A poco a poco, i talebani hanno iniziato a controllare sempre più strisce di territorio in Afghanistan, mentre sono impegnati in attacchi terroristici  sempre più sfacciati e devastanti contro il popolo pakistano.

Ora, in tutto questo tempo, i nostri livelli di truppe in Afghanistan sono stati una minima parte di ciò che erano in Iraq. Quando ho assunto l'incarico, avevamo poco più di 32.000 americani in servizio in Afghanistan, rispetto ai 160.000 in Iraq, alla fine della guerra. Gli Ufficiali in Afghanistan hanno più volte chiesto sostegno per affrontare il riemergere dei talebani, ma i rinforzi non sono arrivati. Ed è per questo che, poco dopo il mio insediamento, ho approvato la richiesta di lunga data di più truppe. Dopo le consultazioni con i nostri alleati, ho poi annunciato una strategia nella consapevolezza del legame fondamentale tra il nostro sforzo bellico in Afghanistan e il rifugio degli estremisti in Pakistan. Ho impostato un obiettivo che è stato accuratamente definito, come disgregazione, smantellamento, e sconfitta di Al Qaeda e dei suoi alleati estremisti, e mi sono impegnato a coordinare meglio i nostri sforzi militari e civili.

Da allora, abbiamo fatto progressi su alcuni obiettivi importanti. Componenti di alto rango di Al Qaeda e capi talebani sono stati uccisi, e abbiamo intensificato la pressione su Al Qaeda in tutto il mondo . In Pakistan, dove l'esercito nazionale ha sferrato la sua più grande offensiva nel corso degli anni. In Afghanistan, noi e i nostri alleati abbiamo impedito ai talebani di fermare le elezioni presidenziali, e - anche se è stata segnata dalla frode - l'elezione ha prodotto un governo coerente con le leggi e la costituzione dell'Afghanistan.

Restano ancora  enormi sfide. L'Afghanistan non è perduto, ma per diversi anni ha subito una regressione. Non c'è alcuna minaccia imminente che il governo venga rovesciato, ma i talebani hanno preso slancio. Al Qaeda non è riemerso in Afghanistan con gli stessi numeri che aveva prima del 9 / 11, ma mantiene i suoi rifugi sicuri lungo la frontiera. E le nostre forze mancano del pieno sostegno di cui hanno bisogno per addestrare e guidare in modo efficace le forze di sicurezza afgane per garantire meglio la sicurezza della popolazione. Il nostro nuovo comandante in Afghanistan - Generale McChrystal - ha riferito che la situazione della sicurezza è più grave di quanto previsto. In breve: Lo status attuale non è sostenibile.

Come cadetti, avete prestato servizio volontario, in questo momento di pericolo. Alcuni di voi hanno combattuto in Afghanistan. Alcuni di voi saranno schierati lì. Come comandante in capo, vi devo una missione chiaramente definita, e degna del vostro servizio. Ed è per questo che, dopo che il voto afghano è stato completato, ho insistito per una revisione approfondita della nostra strategia. Ora, vorrei essere chiaro: prima di me non è stata mai avanzata un'ipotesi che prevedesse dispiegamenti di truppe prima del 2010, per cui non vi è stato alcun ritardo o la negazione delle risorse necessarie per condurre la guerra durante questo periodo di revisione. Invece, la revisione mi ha permesso di porre domande difficili, e di esplorare tutte le varie opzioni, insieme alla mia squadra di sicurezza nazionale, alla nostra leadership militare e civile in Afghanistan, ed ai nostri partners principali. E data la posta in gioco, lo dovevo al popolo americano - e alle nostre truppe - non meno.

Questa revisione è ora completa. E come Comandante in Capo, ho deciso che è nel nostro vitale interesse nazionale l'invio di ulteriori 30.000 soldati Usa in Afghanistan. Dopo 18 mesi, i nostri soldati cominceranno a tornare a casa. Queste sono le risorse di cui abbiamo bisogno per prendere l'iniziativa, fin tanto che non sarà completata la costruzione delle capacità afgane che possano permettere un'uscita responsabile delle nostre forze dall'Afghanistan. 

Non prendo questa decisione alla leggera. Mi sono opposto alla guerra in Iraq, proprio perché credo che si debba dar prova di moderazione nell'uso della forza militare, e considerare sempre le conseguenze a lungo termine delle nostre azioni. Siamo in guerra ormai da otto anni, a costi enormi in vite umane e risorse. Anni di dibattito sull'Iraq e sul terrorismo hanno ridotto a brandelli  la nostra unità sulle questioni di sicurezza nazionale,e hanno creato un contesto altamente polarizzato e di parte per questo sforzo. E avendo appena vissuto la peggiore crisi economica dalla Grande Depressione, il popolo americano è comprensibilmente concentrato sulla ricostruzione della nostra economia e sulla creazione di posti di lavoro per le  persone qui a casa.

Più di tutti, so che questa decisione chiede ancora di più da voi - una forza militare che, insieme alle vostre famiglie, ha già portato il più pesante di tutti gli oneri. Come Presidente, ho firmato una lettera di condoglianze alle famiglie di ogni americano che ha dato la sua vita in queste guerre. Ho letto le lettere di genitori e sposi di coloro che sono stati impegnati. Ho visitato i nostri coraggiosi guerrieri feriti al Walter Reed. Sono stato  a Dover per incontrare le bare ricoperte dalla bandiera di 18 americani tornati a casa alla loro ultima dimora. Vedo in prima persona i salari terribili della guerra. Se non pensassi che la sicurezza degli Stati Uniti e la sicurezza del popolo americano è in gioco in Afghanistan, avrei volentieri dato l'ordine di ritorno a casa per ogni singolo soldato delle nostre truppe.

Quindi, no, io non prendo questa decisione alla leggera. Prendo questa decisione, perché sono convinto che la nostra sicurezza è in gioco in Afghanistan e in Pakistan. Questo è l'epicentro di un estremismo violento praticato da Al Qaeda. E 'da qui che siamo stati attaccati l'11 / 9, ed è da qui che nuovi attacchi vengono pianificati mentre parlo. Questo non è un pericolo senza fondamento; non un'ipotetica minaccia. Nei mesi scorsi, abbiamo fermato estremisti  all'interno delle nostre frontiere, inviati qui dalle regioni di confine tra Afghanistan e Pakistan a commettere nuovi atti di terrore. E questo pericolo non potrà che aumentare se il paese indietreggia, permettendo ad  Al-Qaeda  di operare impunemente. Dobbiamo mantenere la pressione su al Qaeda, e per fare ciò, dobbiamo aumentare la stabilità e la capacità dei nostri partners nella regione.

Naturalmente, non siamo solo noi a sopportare questo peso. Questa non è solo la guerra dell'America. Dal 9 / 11, santuari di Al Qaeda sono stati  fonte di attacchi contro Londra e Bali e Amman. Persone e governi di  Afghanistan e Pakistan sono in pericolo. E la posta in gioco è ancora più elevata all'interno di un Pakistan  dotato di armi nucleari , perché sappiamo che Al Qaeda ed altri estremisti cercano armi nucleari, e abbiamo tutte le ragioni per credere che le userebbero.

Questi fatti ci spingono ad agire insieme  ai nostri amici e alleati. Il nostro obiettivo primario rimane lo stesso: distruggere, smantellare, e sconfiggere Al Qaeda in Afghanistan e Pakistan, per prevenire la sua capacità di minacciare l'America ed i nostri alleati in futuro.

Per raggiungere tale traguardo, inseguiremo i seguenti obiettivi in Afghanistan. Dobbiamo negare ad Al Qaeda un rifugio sicuro. Dobbiamo invertire lo slancio dei talebani e  impedire che rovescino il governo. Dobbiamo rafforzare la capacità delle forze di sicurezza afghane e di governo in modo che possano assumersi la principale responsabilità per il futuro dell'Afghanistan.
 
Raggiungeremo questi obiettivi in tre modi. In primo luogo, porteremo avanti una strategia militare che fermerà lo slancio dei talebani  e aumenterà la capacità dell'Afghanistan nei prossimi 18 mesi.

I 30.000 soldati supplementari che ho annunciato stasera entreranno in azione nella prima parte del 2010 - al ritmo più veloce possibile - in modo che possano colpire l'insurrezione e rendere sicuri i centri chiave della popolazione. Faranno aumentare la nostra capacità di formare competenti forze di sicurezza afgane, e di collaborare con loro in modo che gli afgani si uniscano alla battaglia il più possibile. E contribuiranno a creare le condizioni per gli Stati Uniti di trasferire la responsabilità agli afgani. 

Poichè questo è uno sforzo internazionale, ho chiesto che il nostro impegno sia affiancato dai contributi dei nostri alleati. Alcuni hanno già fornito ulteriori truppe e siamo certi che ci saranno ulteriori contributi nei giorni e nelle settimane a venire. I nostri amici hanno combattuto, versato il proprio sangue e sono morti al nostro fianco in Afghanistan. Ora, dobbiamo unirci per porre fine a questa guerra con successo. Perchè quello che è in gioco non è semplicemente una prova di credibilità della NATO - ciò che è in gioco è la sicurezza dei nostri alleati, e la sicurezza di tutto il mondo.

Ma nel loro insieme, queste truppe supplementari americane ed internazionali ci permetteranno di accelerare il passaggio della responsabilità alle forze afgane, e ci permetteranno di iniziare il ritiro delle nostre forze dall'Afghanistan nel luglio del 2011. Proprio come abbiamo fatto in Iraq, effettueremo questa transizione in modo responsabile, tenendo conto delle condizioni sul terreno. Noi continueremo a consigliare ed assistere le forze di sicurezza in Afghanistan al fine di garantire che possano avere successo nel lungo periodo. Ma sarà chiaro per il governo afgano - e, cosa più importante, per il popolo afgano - che in ultima analisi, sono loro responsabili per il loro paese.

In secondo luogo, lavoreremo con i nostri partners, le Nazioni Unite, e il popolo afghano per ricercare una strategia civile più efficace, in modo che il governo possa trarre vantaggio da una maggiore sicurezza.

Questo sforzo deve essere basato sul rendimento. I giorni di fornire un assegno in bianco sono finiti. Il discorso inaugurale del Presidente Karzai ha inviato il giusto messaggio sullo spostamento in una nuova direzione. E andando avanti, ci sarà chiaro ciò che ci aspettiamo da coloro che ricevono la nostra assistenza. Sosterremo i ministeri afgani, i governatori ed i leaders locali per vincere la corruzione e liberare il popolo. Ci aspettiamo che coloro che sono inefficienti o corrotti diventino responsabili. Anche noi concentreremo la nostra assistenza in settori - come l'agricoltura - che possono avere un impatto immediato nella vita del popolo afgano.

Il popolo Afghano ha sopportato la violenza per decenni. Hanno dovuto affrontare l'occupazione - da parte dell'Unione Sovietica, e poi da stranieri combattenti di Al Qaeda che hanno usato la terra afgana per i loro scopi. Così stasera, voglio che il popolo afghano capisca - l'America vuole porre fine a questa epoca di guerra e di sofferenza. Non abbiamo alcun interesse ad occupare il paese. Sosterremo gli sforzi del governo afghano per aprire la porta a quei talebani che abbandoneranno la violenza e rispetteranno i diritti umani dei loro concittadini. Chiederemo un'alleanza con l'Afghanistan fondata sul rispetto reciproco - per isolare chi vuole distruggere;  rafforzare coloro che vogliono costruire, per affrettare il giorno in cui le nostre truppe lasceranno il campo, e stringere un'amicizia duratura in cui l'America è il vostro partner, e mai il vostro padrone.

In terzo luogo, agiremo con la piena consapevolezza che il nostro successo in Afghanistan è indissolubilmente legato alla nostra partnership con il Pakistan.

Siamo in Afghanistan per impedire che un cancro, si diffonda ancora una volta attraverso quel paese. Ma questo stesso tipo di tumore ha messo radici anche nella regione di confine del Pakistan. È per questo che abbiamo bisogno di una strategia che funzioni su entrambi i lati del confine.

In passato, ci sono stati  in Pakistan quelli che hanno sostenuto che la lotta contro l'estremismo non è la loro lotta, e che per il Pakistan è meglio fare poco o cercare una sistemazione a coloro che usano la violenza. Ma negli ultimi anni, visto  che alcuni  innocenti sono stati uccisi da Karachi a Islamabad, è diventato chiaro che  il popolo pakistano è il più esposto al rischio di estremismo. L'opinione pubblica si è trasformata. L'esercito pakistano ha intrapreso un'offensiva a Swat e nel Sud Waziristan. E non c'è dubbio che gli Stati Uniti abbiano un nemico comune con il Pakistan.

In passato, abbiamo troppo spesso definito il nostro rapporto con il Pakistan in modo restrittivo. Quei giorni sono finiti. Andando avanti, ci siamo impegnati in un'alleanza con il Pakistan che si basa su un fondamento di reciproco interesse, sul rispetto reciproco, e sulla fiducia reciproca. È nostra intenzione potenziare la capacità del Pakistan di colpire quei gruppi che minacciano i nostri paesi, e abbiamo messo in chiaro che non possiamo tollerare un rifugio sicuro per i terroristi, la cui posizione è nota e le cui intenzioni sono chiare. L'America è anche a disposizione per risorse consistenti a sostegno della democrazia e dello sviluppo del Pakistan. Noi siamo i più grandi sostenitori internazionali per i pakistani sfollati a causa dei combattimenti. E andando avanti, il popolo pakistano deve sapere che l'America continuerà ad essere un forte sostenitore della sicurezza e della prosperità del Pakistan per un lungo tempo dopo che le armi saranno deposte, in modo che le grandi potenzialità del suo popolo possano essere liberate.

Questi sono i tre elementi fondamentali della nostra strategia: uno sforzo militare per creare le condizioni per una transizione, una sollevazione civile che rafforzi l'azione positiva, e una cooperazione efficace con il Pakistan.

Riconosco che ci sono una serie di preoccupazioni circa il nostro approccio. Così lasciatemi citare brevemente alcuni degli argomenti più importanti che ho sentito, e che prendo molto sul serio.

In primo luogo, ci sono quelli che suggeriscono che l'Afghanistan è un altro Vietnam. Essi sostengono che non può essere stabilizzato, e che noi faremmo meglio a contenere le nostre perdite e a ritirarci rapidamente. Credo che questo argomento dipenda da una falsa lettura della storia. A differenza del Vietnam, abbiamo messo insieme una vasta coalizione di 43 nazioni che riconosce la legittimità della nostra azione. A differenza del Vietnam, non siamo di fronte a una rivolta su larga base popolare. E, soprattutto, a differenza del Vietnam, gli americani sono stati brutalmente attaccati dall'Afghanistan, e restano un obiettivo per gli stessi estremisti che stanno tramando lungo il suo confine. Abbandonare l'area adesso - e fare affidamento solo sulle iniziative a distanza contro Al Qaeda  - ostacolerebbe in modo significativo  la nostra capacità di mantenere la pressione su al Qaeda, e crerebbe un rischio inaccettabile di ulteriori attacchi alla nostra patria e ai nostri alleati.

In secondo luogo, vi sono coloro che riconoscono che non possiamo lasciare l'Afghanistan nel suo stato attuale, ma suggeriscono di proseguire con le truppe che abbiamo già. Ma questo non farebbe che mantenere uno status quo in cui ci perderemmo, e permetterebbe un lento deterioramento delle condizioni. Questo renderebbe più costoso per noi prolungare la nostra permanenza in Afghanistan, perché non saremmo mai in grado di generare le condizioni necessarie per addestrare le forze di sicurezza afgane e dare loro il modo di prendere il sopravvento.

Infine, ci sono quelli che si oppongono alla definizione di un arco di tempo per il passaggio delle responsabilità agli  afgani. Infatti, alcuni vorrebbero una escalation drammatica e più aperta del nostro sforzo di guerra - cosa che ci impegnerebbe in una ricostruzione della nazione per almeno un decennio. Respingo questo percorso perché si pone obiettivi che vanno oltre ciò che può essere realizzato ad un costo ragionevole, che è quello che dobbiamo fare per garantire i nostri interessi. Inoltre, l'assenza di definizione di un arco di tempo per la transizione potrebbe indurci a negare qualunque giudizio di urgenza nella collaborazione con il governo afgano. Deve essere chiaro che gli afgani dovranno assumersi la responsabilità della loro sicurezza, e che l'America non ha alcun interesse a combattere una guerra senza fine in Afghanistan.

Come Presidente, mi rifiuto di fissare obiettivi che vanno oltre le nostre responsabilità, i nostri mezzi, oppure i nostri interessi. E devo valutare tutte le sfide che il nostro paese deve affrontare. Non posso permettermi il lusso di commettere neanche un solo errore. Anzi, sono memore delle parole del presidente Eisenhower, che - parlando della nostra sicurezza nazionale - ha detto, "Ogni proposta deve essere valutata alla luce di una considerazione più ampia: la necessità di mantenere l'equilibrio all'interno e tra i programmi nazionali."

Nel corso degli ultimi anni, abbiamo perso l'equilibrio. Abbiamo omesso di apprezzare la connessione tra la nostra sicurezza nazionale e la nostra economia. A seguito di una crisi economica, anche molti dei nostri vicini ed  amici hanno perso il lavoro e lottano per pagare le bollette. Anche molti americani sono preoccupati per il futuro dei loro figli. Nel frattempo, la competizione all'interno dell'economia globale è diventata più feroce. Sicchè non ci possiamo permettere di ignorare semplicemente  il prezzo di queste guerre.

Tutto sommato, da quando ho assunto l'incarico il costo delle guerre in Iraq e in Afghanistan si è avvicinata ad  un trilione di dollari. Andando avanti, mi impegno a far fronte a tali costi apertamente e onestamente. E' probabile che il nostro nuovo approccio in Afghanistan  che quest'anno ci costerà circa 30 miliardi di dollari per le forze militari, e io lavorerò a stretto contatto con il Congresso per affrontare queste spese, come lavoriamo per ridurre il nostro deficit.

Ma appena finirà la guerra in Iraq e sarà avvenuta la transizione in Afghanistan, dobbiamo ricostruire la nostra forza qui a casa. La nostra prosperità fornisce la base per la nostra energia. Paga  i nostri militari. Assicura la nostra diplomazia. Sviluppa le potenzialità del nostro popolo, e permette investimenti in nuove industrie. E ci permetterà di competere in questo secolo, con successo come abbiamo fatto nel secolo scorso. È per questo che il nostro impegno di truppe in Afghanistan non può essere a tempo indeterminato -, perché la nazione che sono più interessato a costruire è la nostra.

Ora, vorrei essere chiaro: Nulla di tutto questo sarà facile. La lotta contro l'estremismo violento non finirà presto, e si estende ben oltre l'Afghanistan e il Pakistan. Sarà una lunga prova della nostra società libera, e della nostra leadership nel mondo. E a differenza dei grandi conflitti di potere e di chiare linee di divisione che hanno definito il 20 ° secolo, il nostro sforzo coinvolgerà regioni turbolente, stati falliti, nemici diffusi.

Di conseguenza, l'America dovrà mostrare la sua forza nel modo in cui mette fine alle guerre e previene i conflitti - non solo nel modo in cui intraprende guerre. Dovremo essere agili e precisi nel nostro uso della forza militare. Nel caso in cui Al Qaeda e i suoi alleati dovessero tentare di stabilire un punto d'appoggio - in Somalia e nello Yemen o altrove - si dovrà trovare di fronte a pressioni sempre più forti e a solide alleanze.

E non possiamo contare solo sulla forza militare. Dobbiamo investire nella sicurezza nazionale, perché non possiamo catturare o uccidere tutti gli estremisti violenti all'estero. Dobbiamo migliorare e coordinare meglio i nostri servizi di intelligence, in modo da essere sempre un passo avanti alle reti nascoste.

Dovremo eliminare gli strumenti di distruzione di massa. Ed è per questo che considero un pilastro centrale della mia politica estera garantire che i terroristi stiano lontani da materiali nucleari, per arrestare la diffusione delle armi nucleari, e perseguire l'obiettivo di un mondo senza di esse - perché ogni popolo deve capire che la vera sicurezza non potrà mai venire da una corsa infinita ad armi sempre più distruttive; la vera sicurezza verrà per coloro che le respingeranno.

Dovremo usare la diplomazia, perché nessuna nazione può affrontare le sfide di un mondo interconnesso se agisce da sola. Ho trascorso quest'anno ripristinando vecchie alleanze e costruendone di nuove. Abbiamo avviato un nuovo inizio tra America e mondo musulmano - che riconosce il nostro reciproco interesse nel chiudere un ciclo di conflitti, e promette un futuro in cui quelli che uccidono innocenti saranno isolati da coloro che si battono per la pace e la prosperità e per la dignità umana.

E, infine, dobbiamo attingere la forza dai nostri valori - le sfide che abbiamo di fronte possono cambiare, ma le cose in cui crediamo non devono cambiare. È per questo che dobbiamo promuovere i nostri valori, vivendoli in patria - è per questo che abbiamo vietato la tortura e chiuso il carcere di Guantanamo Bay. E dobbiamo far capire ad ogni uomo, donna e bambino del mondo che vive sotto la nube scura della tirannia che l'America parlerà a nome dei loro diritti umani, e tende alla luce della libertà, giustizia ed opportunità e al rispetto per la dignità di tutti i popoli. Questo è quello che siamo. Questa è la fonte, la sorgente morale, del potere dell'America.

Fin dai tempi di Franklin Roosevelt, e del servizio e sacrificio dei nostri nonni e bisnonni, il nostro paese ha dato un peso particolare alle vicende mondiali. Abbiamo versato sangue americano in molti paesi in vari continenti. Abbiamo speso le nostre entrate per aiutare gli altri a ricostruire dalle macerie e a sviluppare le loro economie. Ci siamo uniti con altri per sviluppare un'architettura di istituzioni - dalle Nazioni Unite alla NATO alla Banca Mondiale - che provvedono alla sicurezza comune e alla prosperità degli esseri umani.

Non siamo sempre stati ringraziati per questi sforzi, e a volte abbiamo commesso errori. Ma più di ogni altra nazione, gli Stati Uniti d'America, hanno garantito la sicurezza a livello mondiale per oltre sei decenni - un periodo che, malgrado tutti i problemi, ha visto crollare muri, l'apertura di mercati, e miliardi di persone sollevate dalla povertà, un progresso scientifico senza precedenti e l'avanzamento delle frontiere della libertà umana.

A differenza delle grandi potenze del passato, non abbiamo cercato di dominare il mondo. La nostra unione è stata fondata sulla resistenza all'oppressione. Noi non cerchiamo di occupare altre nazioni. Noi non pretendiamo le risorse di altre nazioni o colpiamo altri popoli, perché la loro fede o etnia è diversa dalla nostra. Quello per cui abbiamo lottato  - quello per cui noi continueremo a batterci  - è un futuro migliore per i nostri figli e nipoti. E crediamo che la loro vita sarà migliore se i bambini e nipoti di altri popoli  potranno vivere in libertà e avranno più opportunità. (Applauso)

Come  paese, non siamo così giovani - e forse neanche tanto innocenti - come eravamo quando era presidente Roosevelt. Eppure siamo ancora eredi di una nobile lotta per la libertà. E ora dobbiamo convocare tutte le nostre forze  di "moral suasion" per far fronte alle sfide di una nuova era.

Alla fine, la nostra sicurezza e la nostra leadership non proviene esclusivamente dalla forza delle nostre armi. Essa deriva dalla nostra gente - dai  lavoratori e dalle imprese che ricostruiranno la nostra economia, da imprenditori e ricercatori, che saranno pionieri di nuove industrie, dagli insegnanti che educano i nostri figli, e dal servizio di coloro che lavorano nelle nostre comunità a casa ; da diplomatici e volontari dei Corpi di Pace che diffondono la speranza all'estero, e da uomini e donne in uniforme, che fanno parte di una linea ininterrotta di sacrificio che ha reso il governo del popolo, dal popolo, e per il popolo una realtà su questo terra. (Applauso)
Questa cittadinanza vasta e diversificata, non sempre sarà d'accordo su ogni questione - non dobbiamo esserlo. Ma so anche che noi, come paese, non possiamo sostenere la nostra leadership, né attraversare le sfide epocali del nostro tempo, se permettiamo a noi stessi di farci lacerare dallo stesso rancore e cinismo e  faziosità che in tempi recenti hanno avvelenato il nostro dialogo nazionale .

E' facile dimenticare che quando è iniziata questa guerra, eravamo uniti - legati dal ricordo recente di un terribile attacco, e con la determinazione a difendere la nostra patria e i valori che ci stanno a cuore. Mi rifiuto di accettare l'idea che non possiamo invocare di nuovo l'unità. (Applausi) Credo con ogni fibra del mio essere che noi - come americani - possiamo ancora inseguire insieme uno scopo comune. Perchè i nostri valori non sono solo parole scritte su una pergamena - sono un credo che ci richiama all'unità, e che ci ha portato attraverso la più oscura delle tempeste, come una sola nazione, come un solo popolo.

America - stiamo attraversando un momento di grande prova. E il messaggio che inviamo in mezzo a  queste tempeste deve essere chiaro: che la nostra causa è giusta, la nostra determinazione incrollabile. Noi andremo avanti con la fiducia che  il giusto rende forti, e con l'impegno di creare un America  più sicura, un mondo  più sicuro, e un futuro che non rappresenta la più profonda delle paure, ma la più alta delle speranze. (Applauso)

Grazie. Dio vi benedica. Dio benedica gli Stati Uniti d'America. (Applausi) Grazie infinite. (Applauso)

Fonte della trascrizione:CBSNews

Traduzione a cura di Dakota Jones