Ridurre l'esposizione verso i Paesi periferici europei. Vendere i titoli del debito pubblico di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda è stata la missione delle principali banche americane sui mercati europei negli ultimi mesi. È quanto sta emergendo dai bilanci del primo trimestre dei colossi bancari statunitensi che stanno alzando il velo sulla loro operatività nei mesi più difficili per l'Europa quando persino l'esistenza dell'euro veniva messa in discussione.
Dal bilancio trimestrale di Morgan Stanley, ad esempio, emerge che nei primi tre mesi del 2012 l'istituto americano ha ridotto del 21% la sua esposizione verso i Paesi europei più indebitati portandola a 2,4 miliardi di dollari da 3,06 miliardi di gennaio, con una riduzione di 618 milioni di dollari. Una posizione che si è andata accentuando con il passare delle settimane dal momento che a fine dicembre l'esposizione netta verso i Paesi a rischio debito sovrano era di 6,44 miliardi di dollari di cui 4,9 miliardi di dollari soltanto verso l'Italia.
A contribuire a ridurre l'esposizione verso Italia è stata la chiusura lo scorso 3 gennaio di un contratto derivato da 3,4 miliardi di dollari. La riduzione ha riguardato tutti i principali Paesi che hanno sofferto in questi mesi, ad eccezione della Francia dove invece l'esposizione è stata aumentata a 4,14 miliardi da 1,71 miliardi di fine dicembre. In più, Morgan risulta avere venduto un miliardo di Cds, contatti assicurativi contro il rischio default dei titoli governativi, per lo più dell'Italia e della Spagna.
Il campanello d'allarme sul rischio Europa sarebbe scattato alla luce del crollo del 41% dei prezzi delle azioni della banca nel terzo trimestre del 2011 quando i timori del peggioramento della situazione finanziaria dei Paesi europei aveva messo sotto pressione l'istituto. Lo stesso ha fatto Bank of America che, come risulta dal bilancio, ha ridotto l'esposizione totale verso Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna portandola a 9,8 miliardi di fine marzo da 11,5 miliardi di dollari registrato a fine marzo 2012 e 10,3 miliardi di fine dicembre.
Dunque da quanto sta emergendo, alla fine del primo trimestre le principali banche americane si erano posizionate per guadagnare se i titoli di debito pubblico del gruppo dei Pigs si svalutavano, scommettendo quindi sul peggioramento delle condizioni economiche dei Paesi europei in posizione più debole. Giocare contro il Portogallo, ad esempio, vuol dire fare crollare i prezzi dei titoli pubblici del Paese, ma allo stesso tempo aumentarne i rendimenti. A quel punto entrano in campo i trader delle grandi banche che comprano a prezzi ribassati per poi rivendere gli stessi titoli quando i loro valori risalgono lucrando sul valore. Un gioco semplice se gli operatori in campo sono di dimensioni tali da riuscire a muovere il mercato. Chi compra in queste condizioni? Se i rendimenti salgono, i primi ad essere interessati sono gli investitori istituzionali come i fondi pensione e le società di gestione che possono detenere in portafoglio i titoli fino alla scadenza.
Nel frattempo le banche si alleggerivano dei titoli governativi in portafoglio guadagnando sulle attività di trading. Nel caso dell'Italia, non è chiaro come le banche potessero conciliare questa operatività con la loro posizione di specialist del Tesoro italiano nel collocamento dei titoli pubblici in asta: sono 20 le banche, per lo più estere, che devono garantire un'operatività del 3% l'anno sul mercato primario e su quello secondario, assicurando prezzi e quantitativi. Ma in quei giorni caldi tutte queste garanzie erano venute meno e la mano invisibile del mercato ha fatto il resto.
Fonte: Contro la Crisi 21 Aprile 2012
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